Da Trieste a Catania, i porti diventano spazi civici e inclusivi
Con il Cni, professionisti e istituzioni al dialogo su rigenerazione, portualità e innovazione
Sessantatré ettari nel cuore di Trieste, una zona franca per decenni che ora si candida a diventare uno dei progetti di rigenerazione urbana più avanzati e interessanti d’Europa. È il Porto Vecchio, oggi “Porto Vivo” (primario protagonista della kermesse di Cannes negli ultimi anni che al tema del waterfront ha sempre dedicato molto spazio), raccontato anche nell’ambito dell’iniziativa “Città e Porti: sviluppo, rigenerazione e innovazione”, promossa dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (Cni) e dall’Ordine degli Ingegneri di Trieste, con il sostegno di Assoporti.
La città giuliana è un un laboratorio a cielo aperto, dove prende forma una nuova idea di trasformazione urbana. «Porto Vivo è uno dei dieci progetti urbanistici più importanti al mondo», ha detto il sindaco Roberto Dipiazza. Non si tratta solo di un progetto immobiliare: è il segnale che le città italiane stanno finalmente ripensando il proprio rapporto con il mare.
Anche il presidente del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, ha sottolineato il valore strategico dell’intervento sul Porto Vecchio come «fulcro economico regionale», che attra oltre mille dipendenti e reale occasione per restituire centralità urbana a un’area storicamente marginale.
Ma Porto Vivo è solo uno dei tasselli di un mosaico più ampio. Il convegno, seconda tappa di un percorso avviato a maggio a Roma, ha riunito ingegneri, amministratori, tecnici e rappresentanti delle autorità portuali per confrontarsi su tre parole chiave che stanno ridisegnando le città costiere italiane: sviluppo, rigenerazione, innovazione.
Irene Sassetti, consigliera del Cni con delega ai porti, ingegneria del mare e urbanistica, sottolinea quanto sia decisivo unire due mondi tradizionalmente separati, quello delle opere portuali e quello della rigenerazione urbana. Dal Cni un impegno attivo nella definizione della nuova legge sulla rigenerazione urbana, attualmente all’esame del Senato, con proposte costruite insieme al Censu, il Centro nazionale studi urbanistici.
Tra i casi oggetto di studio quello di Catania, con l’esperienza di Paolo La Greca, vicesindaco della città, che ha offerto un affondo storico e culturale sul legame tra il fronte mare e il tessuto urbano. «Rigenerare significa ridare vita, innestare nuovi geni in una parte di città destinata a cambiare continuamente». Colate laviche, terremoti, infrastrutture invasive hanno modificato a più riprese la relazione con il porto. Negli anni, Catania ha perso il suo sbocco al mare, e ha dovuto riconquistarlo.
Oltre 25 anni fa si è studiata l’ipotesi di una doppia canna ferroviaria sotto il Castello Ursino, in un’area archeologica e patrimonio Unesco. «Il progetto è stato bloccato dalla città stessa, e riformulato in un nuovo piano di interramento che punta a restituire continuità tra centro storico e mare. Un’opera complessa, da oltre un miliardo di euro, che sarà tema di un dibattito pubblico. Nel frattempo però il nuovo Piano regolatore del porto – già approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici – ha tracciato un’idea di apertura, di accessibilità e di equilibrio tra logistica e qualità urbana», ha aggiunto il vicesindaco.
La visione si basa su una riconfigurazione profonda degli spazi: la liberazione dell’area storica e il potenziamento della darsena turistica, la ricucitura della frattura infrastrutturale lungo via Dusmet e via Cristoforo Colombo, la gestione razionale dei flussi merci e il superamento delle barriere urbane verso sud.
Catania torna così ad essere una città con il suo porto, e non più una città accanto a un porto
Una sfida che riguarda molte realtà del Mediterraneo: da Palermo a Valencia, da Genova a Barcellona, dove la porosità tra acqua e città diventa una leva di trasformazione economica e sociale.
Anche Taranto, con l’intervento di Laura Cimaglia, dirigente della direzione Affari generali ed internazionali dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ionio, ha portato un esempio concreto di rigenerazione. In una città da sempre raccontata solo attraverso l’industria pesante, oggi il turismo marittimo rappresenta un’occasione per cambiare narrazione. «La collaborazione con Costa Crociere ha portato alla creazione di nuovi profili professionali, i sales manager, che formano giovani locali e offrono, secondo i dati Gts, un tasso di occupazione del 70 per cento. Un segnale chiaro di come le infrastrutture possano generare filiere nuove, inclusive, capaci di trattenere competenze».
Intorno a questa visione si muovono progetti come “Open Port”, centro espositivo virtuale destinato a diventare fisico con la futura apertura del Taranto Exhibition Center, e iniziative pubbliche come gli “Italian Port Days”, giornate in cui il porto si apre alla città, superando le barriere fisiche e culturali. A Taranto è nato anche il primo acceleratore di startup in ambito portuale, “Faros”, ora connesso anche a realtà internazionali. Tutto questo aspettando i Giochi del Mediterraneo con la loro legacy.
La sfida, oggi, è proprio questa: trasformare i porti in luoghi non solo produttivi, ma anche civici, educativi, capaci di generare valore sociale oltre che economico.
In copertina: Trieste © Adobe Stock

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