27-03-2023 Paolo Galuzzi 4 minuti

Cosa imparare e cosa evitare nel confronto con Milano. La sfida di Roma per un progetto di città

Dalla riproducibilità del caso milanese alla prospettiva per Roma

Se esiste un “modello Milano”, è una ricetta replicabile?

Milano nell’ultimo decennio è stata avvertita come un’isola felice rispetto al resto del Paese. Favorita da investimenti in buona misura internazionali, ha visto crescere sotto il profilo demografico, economico, culturale la sua attrattività da parte di player internazionali, di giovani e studenti provenienti da tutta Italia e dal mondo, dei grandi flussi del turismo globalizzato.
Questo ritratto, parziale, mostra sempre più luci e ombre nel perdurare della crisi sistemica globale, contraddizioni che la pandemia aveva già evidenziato.
Dopo la stagione degli strumenti di programmazione urbanistica negoziata, la città è mutata attraverso alcuni progetti ‘bandiera’, ma soprattutto in modo incrementale attraverso interventi di rigenerazione diffusa, dove i processi di innovazione sociale spesso hanno trovato maggior terreno fertile. Oggi le principali trasformazioni in sviluppo sono rappresentate da aree pubbliche, con un ruolo giocato dalle università milanesi, dai centri di ricerca e di formazione, dai luoghi della cultura e dell’innovazione.


Solo recentemente, le periferie e i quartieri di edilizia pubblica sono divenuti protagonisti con l’affermazione del nuovo ciclo della rigenerazione urbana.


Accanto a una nuova stagione di grandi trasformazioni urbane intensive, prendono corpo pratiche di cittadinanza che cercano di coniugare economia e innovazione sociale. Questa è la ricca rete di attori che oggi producono la città: dalle università alle grandi imprese bancarie e assicurative; dai soggetti dell’impresa e del lavoro, ai molti innovatori sociali. Se tali condizioni rappresentano ‘un modello’, bisogna riconoscere che quello milanese si è concentrato su una dimensione territoriale assai limitata, che stenta a superare il limite comunale.

Una realtà dieci volte più piccola di Roma Capitale e caratterizzata da una elevatissima densità (demografica, abitativa, di imprese e attività). Ciò oggi costituisce il limite – forse anche il fattore di saturazione – delle condizioni che hanno reso possibile l’affermarsi del modello milanese. E il superamento di questo limite costituisce la sfida di Milano per il prossimo futuro.

A partire dai limiti di riproducibilità del caso milanese, quale prospettiva per Roma?

Roma presenta specificità costitutive incomparabili con il caso milanese e in generale con altre città metropolitane italiane ed europee. Specificità in cui si intrecciano fattori geografici e storici, non trascurabili nella costruzione di uno scenario al futuro. Nei cento anni in cui ha preso forma l’attuale fisionomia urbana, Roma ha rivestito un ruolo anomalo – non moderno – nel contesto delle grandi metropoli europee. Permangano, anche se in forma più attenuata, condizioni genetiche che sembrano rallentarne il processo di modernizzazione in una prospettiva post-metropolitana. La dimensione territoriale di Roma Capitale è sconosciuta alle altre città metropolitane italiane: un territorio vasto e frammentato, considerato sempre troppo distante, lontano e irrilevante – “Roma nel deserto del Lazio” – in cui si perpetua quello squilibrio genetico con il suo hinterland.


Misurarsi progettualmente con ‘il grande vuoto’ è la prima condizione che va ripresa con forza, sviluppando un’intuizione del Prg 2008 largamente disattesa.


A partire dal rilancio della cosiddetta “cura del ferro”, indispensabile per qualificare una città che soffoca di traffico, la cui struttura fisica si è appoggia su un sistema infrastrutturale debole, esito di una pianificazione culturalmente arretrata. Roma si è gradualmente ‘metropolizzata’ dentro il proprio territorio, senza avere mai conosciuto una stagione metropolitana. Occorre prendere definitivamente atto della stabilità fisica che la città ha ormai raggiunto e provare a proiettarla in una nuova prospettiva progettuale di riuso e rigenerazione dell’esistente, tornando a guardare Roma a partire dal suo ‘articolato mosaico di micro-città’, altra intuizione del Prg 2008, oggi ampiamente adottata in molti contesti italiani e punto di forza del progetto rigenerativo milanese.

Se non replicabile, cosa insegna però il caso milanese che Roma ancora fatica a vedere?

Oggi lo sviluppo delle città transita attraverso grandi e molecolari progetti di rigenerazione urbana. Rigenerare non significa attuare interventi puntuali di rinnovamento del patrimonio costruito, bensì costituire complessi progetti strategici di scala territoriale, in grado di generare un indotto ampio su tutta la città, di creare nuova urbanità e nuove infrastrutture, con una rinnovata attenzione alla sostenibilità sociale, ambientale ed energetica.


L’urbanistica romana rimane, oggi come ieri, troppo condizionata dal peso e dalle logiche della rendita urbana.


Fattore che incide non poco sulla qualità e capacità di costruzione di progetti capaci di generare processi virtuosi di trasformazione e rigenerazione urbana ed economica, nonché di costruire percorsi progettuali condivisi.

Rigenerazione urbana, contenimento del consumo del suolo, transizione ecologica non erano parole d’ordine presenti nel piano del 2008, che sconta un decennio in cui queste istanze si sono affermate come sentire comune, in un contesto di mercato assai differente. Un aggiornamento in questa direzione è necessario e opportuno. Ma non è un tema solo di ripensamento degli strumenti urbanistici più adeguati, soprattutto in assenza di cambiamenti decisivi a livello regionale e nazionale. Il sistema attuale di regole va sicuramente semplificato sul piano normativo, ma offre già soluzioni per ottenere miglioramenti immediati, per far funzionare i meccanismi e gli istituti esistenti, per raggiungere obiettivi con celerità ed efficienza, recuperando la miglior pratica del ‘planning by doing’.


Senza il coraggio di far buon uso delle regole già esistenti, nessun piano, anche il più innovativo, potrà determinare un cambiamento reale.


Le regole urbanistico–edilizie hanno nel corso del tempo abbandonato l’originario obiettivo d’indirizzo e guida del progetto di città che aveva caratterizzato l’impianto originario del piano di Roma del 2008. Con la versione approvata, le regole del piano hanno perso la loro costitutiva e originaria caratterizzazione progettuale, sostenuta da principi di coerenza. Un ricorso solo difensivo alle regole e alle procedure non garantisce la pianificazione, nè offre impulso allo sviluppo economico, senza la necessaria condivisione di un progetto di città, che includa e interpreti le energie economiche e sociali provenienti dalla collettività.

In copertina: Roma © funtik_m via Flickr

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Paolo Galuzzi
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