«Le città non si rammendano», la ricetta di Foqus ai Quartieri Spagnoli

08-05-2025 Francesca Fradelloni 4 minuti

08-05-2025 Francesca Fradelloni 4 minuti

«Le città non si rammendano», la ricetta di Foqus ai Quartieri Spagnoli

Renato Quaglia racconta il libro appena uscito per Rubattino sull’esperienza rigenerativa partita nel 2012

Un piccolo grande miracolo, un’esperienza unica in una terra difficile e colma di fragilità, e una ricchezza: le persone e le storie specchio di un tessuto di trame complesse, ma dalla grande voglia di cogliere una seconda chance. Renato Quaglia con “Il laboratorio della città nuova” (edito da Rubattino) racconta l’esperienza della Fondazione Foqus nei Quartieri spagnoli. Foqus lavora proprio dove e come serve, con bambine e bambini, ragazze e ragazzi in un quartiere che vive un tasso di dispersione scolastica da far venire i brividi. Come è annotato nella prefazione puntuale di Roberto Saviano, la Fondazione rappresenta la risposta a istanze educative e inclusive che non riguardano solo Napoli e non riguardano solo il nostro tempo. L’operato di Foqus offre strategie e soluzioni per affrontare la crisi urbana contemporanea. Tante volte ci siamo chiesti: come sarà la città del futuro? Ma ci siamo dimenticati dei cittadini.

Quaglia, insieme a Rachele Furfaro, è stato ideatore del progetto e fondatore della Fondazione Foqus, di cui è tuttora direttore. Un lavoro di rigenerazione urbana-educativa, tra speranze e risultati, errori e soluzioni, osservando professionisti, cittadini, istituzioni, attivisti che vi partecipavano, e progetti internazionali studiati per trarne suggestioni.


Tutto è confluito in un libro che, ripercorrendo i passaggi decisivi del progetto nei Quartieri spagnoli, riflette anche sui limiti e le potenzialità del fenomeno della rigenerazione urbana, azione riparativa


«La crisi urbana contemporanea altro non è che una crisi di modello innescata dai fallimenti dello scorso secolo. L’urbanizzazione massiccia ha creato città con enormi periferie prive di servizi essenziali, segnate da povertà, disoccupazione e illegalità. Le periferie italiane non sono degradate per caso, ma per la mancanza di programmazione e attenzione istituzionale», spiega Renato Quaglia durante la chiacchierata con thebrief. In Italia, intorno all’attenzione ai quartieri e allo sviluppo urbano-sociale ci sono delle parole chiave come comunità, scuola, legalità, conoscenza e cultura, parole considerate importanti ma, nel momento dei fatti e delle scelte politiche, non riconosciute, fino in fondo, come tali. E parliamo di quartieri esausti, che segnano il destino di chi ci nasce, privi di scuole, di centri culturali o sportivi, di non luoghi. «Non solo i Quartieri spagnoli, raccontiamo con l’esperienza di Foqus una patologia, le sue cause e la cura», insiste. Sia che il luogo si chiami Scampia, Zen, Corviale, le Dighe a Genova, San Paolo a Bari, Quarto Oggiaro a Milano e Sant’Elia a Cagliari. «Non sono solo aree di criticità irrimediabili, sono, invece, le uniche aree da cui può ripartire il disegno di una nuova città», spiega l’autore. Negli ultimi vent’anni si sono sperimentate spontaneamente, fuori dalla pianificazione e dalle politiche pubbliche, iniziative civiche che, oltre la generosità solidale, si assumono la responsabilità di una vera e propria azione di supplenza pubblica, come il caso della Fondazione Foqus, appunto.

«Foqus nasce nel 2012 dalla dismissione di un edificio di un grande ordine religioso, l’inizio è un inizio tipico anche di moltissime città industriali in cui ci si sta liberando, con la stessa logica, di spazi e volumi che prima erano della produzione, per fare spazio a luoghi con altri usi, ridefinendo aree che sarebbero state, al contrario, simbolo di degrado e di quel vuoto». Negli anni, Foqus ha consolidato un originale e molto articolato modello che intreccia nuovo welfare, produzione di impresa e lavoro, educazione e formazione, questione ambientale, cura delle fragilità, accoglienza delle differenze, programmi culturali, assecondando un profondo cambiamento dei Quartieri. Si è trattato di un movimento, costruito da tante persone, enti, imprese, che progressivamente ha visto crescere una nuova comunità che nel tempo si è a mano a mano appropriata di quanto si stava determinando. Il racconto vuole essere soprattutto occasione per condividere riflessioni, analisi, limiti e impatti che un progetto di rigenerazione a scala di quartiere, ha fatto emergere in questi anni per chi lo ha condotto. «Ci sono diversi progetti di rigenerazione, per esempio, quelli temporanei determinano un’illusione di recupero di funzioni e di socialità per una comunità, per poi diventare subito dopo di nuovo vuoti seppure abitati.


Ma io riconosco due progetti di rigenerazione macro: progetti puntuali e progetti sistemici


Puntuale, per esempio, è il progetto di una compagnia teatrale che nello stare in questo spazio deve restituire alla comunità alcuni servizi che giustificano la sua presenza, quindi singole attività, monotematiche, monosettoriali. Quelli sistemici non si concentrano su una singola attività, ma prendono in considerazione diversi aspetti che compongono le criticità dei quartieri che esprimono diverse domande, contemplando più approcci. Criminalità, bassa manodopera, disoccupazione e precarietà si possono ricondurre per la maggior parte all’abbandono scolastico, motivo per cui l’aspetto formativo è un così importante nel nostro progetto», afferma.

Il libro vuole riflettere anche sui modi in cui le iniziative di cittadinanza attiva raccolgono risorse e come potrebbero garantire continuità alla propria azione, in un Paese ancora convinto che il gesto solidale debba corrispondere alla gratuità dell’azione, che l’entusiasmo valga più della competenza, che le organizzazioni no profit debbano mantenere una dimensione irrilevante, anche se chiamate a impegnarsi a contrasto di sempre più profonde fratture sociali. «Io critico – spiega Quaglia – il concetto di rammendo delle periferie, perché si rammenda un maglione che si è strappato: non può essere comprato un maglione nuovo e si cerca di dissimulare quello strappo.


Ricucire vuol dire nascondere le fratture, ma le fratture dei nostri centri urbani vanno mostrate


Individuando la crepa produciamo vera trasformazione sociale, mettendo in moto un processo da cui bisogna distanziarsi perché è la comunità che ne deve fare un suo linguaggio sociale di cambiamento. Con queste premesse il metodo è esportabile, stante il fatto che dobbiamo riconoscere che ogni contesto ha le sue specificità. Il modello di città del Novecento è esausto e chiede di essere superato, l’importante è che questi interventi non devono essere palliativi, ma radicali e radicati e accolti anche dal pubblico per far approdare la nave della trasformazione e non disperdere tutto ciò che si è costruito. Non solo finanziare la rigenerazione. ma cambiare l’atteggiamento politico per produrre nuove polis pubbliche», conclude Quaglia.

In copertina: © Foqus

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Francesca Fradelloni
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