06-06-2023 Alessio Garofoli 5 minuti

Il Nordest mette in vetrina esempi virtuosi nella rigenerazione urbana

Analisi su buone pratiche e prospettive future al festival “Città in scena” di Padova. Con un occhio al Pnrr

Anche se punti interrogativi sempre più grandi aleggiano sul futuro del Pnrr, casi di implementazione puntuale dei fondi (anche) europei in Italia esistono. Per esempio nel nordest spesso celebrato, terra non di metropoli ma di città medio-piccole. Progetti che per dirla con le parole del sociologo Aldo Bonomi, fondatore e direttore del consorzio Aaster, delineano un «racconto in orizzontale, operoso. Ho visto in primo luogo un protagonismo delle autonomie locali, ho visto tecnici competenti con una visione e assessori in sintonia». Bonomi era tra gli ospiti della seconda tappa di Città in scena – Festival diffuso della Rigenerazione Urbana, lo scorso 30 maggio a Padova all’auditorium Altinate San Gaetano. Evento che ha analizzato le trasformazioni urbanistiche in atto o da poco concluse grazie ai progetti relativi alle città di Trieste, Trento, Schio, Padova, Udine, Treviso, Rovigo, Pordenone e Maniago. Con un occhio alle città alle quali il Pnrr destina oltre 48 miliardi di euro, di cui 10 direttamente riferiti alla rigenerazione urbana, per migliorare la qualità della vita e favorire uno sviluppo urbano sostenibile.

Due le peculiarità comuni: si tratta di casi di rigenerazione urbana che puntano a impattare sulla città intera, non solo sugli spazi interessati; e alla base di tutti c’è sempre stato un processo partecipativo che ha visto una dialettica tra cittadini, associazioni, stakeholder, imprese, studi di architettura. Questi progetti si pongono insomma l’obiettivo di modificare in meglio non solo la dimensione fisica, ma anche il capitale sociale della cittadinanza tramite le relazioni sociali.


«Non c’è rigenerazione urbana senza coesione sociale», ha detto sempre Bonomi.


E negli esempi in esame se ne trova a suo giudizio di tre tipi: «Una per competere, per esempio a Schio o Padova. Ce n’è poi una seconda per cui le virtù civiche vengono prima dell’economia, e qui sono state mobilitate: i comitati che qui si mobilitano in una dialettica con le giunte e scendono a patti. Terzo tipo di coesione sociale: in tutti i progetti c’è un pezzo di capitale sociale». Il che, ancora una volta, può far pensare a un modello nordest, altro rispetto alle grandi “capitali” italiane, che Bonomi ha spiegato così: «Le città sono luogo di cultura e creatività: avanti con la terziarizzazione. Questo protagonismo delle città medie dovrebbe essere osservato in modo più intelligente: anche dalla città in cui io lavoro, Milano, che si è un po’ ubriacata di verticalità, come città stato, scordando la sua orizzontalità». L’appuntamento era promosso da Ance – Associazione nazionale costruttori edili, Associazione Mecenate 90, Cidac – Associazione delle città d’arte e cultura e Fondazione musica per Roma, con il patrocinio di In/Arch e la collaborazione del Comune di Padova e di Ance Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto. Nel panel degli interventi anche Ezio Micelli, professore di Estimo e Valutazione economica dei progetti all’Università Iuav di Venezia, secondo il quale «il grande nuovo invitato della rigenerazione urbana è l’economia, con la formazione.

Il nordest scopre di essere ancora fulcro della manifattura, e dunque in queste esperienze c’è il come torniamo a pensare le nostre città come luoghi di creazione di valore. Ma segnalo anche la formazione, si parla di Its nei quali la manifattura italiana attinge». Micelli ha poi messo sotto la lente un’altra questione emersa. Quella delle «infrastrutture sociali, dell’inclusione sociale. Chiaro lo sforzo di immaginare una progettazione insieme alle persone, per uno spazio adatto a vivere meglio insieme, in modo finalmente dichiarato. Poi c’è il tema della reinfrastrutturazione ambientale delle città. Fino a poco fa poteva sembrare una moda, invece è una grande urgenza per mitigare i rischi, per rispondere al cambiamento climatico», ha proseguito: «Guardate la mappa delle piste ciclabili in Olanda: la pervasività di queste strutture ne determina il successo». Aspetti che sembrano rappresentare un cambiamento culturale: «Dobbiamo cominciare a pensare che il percorso di rigenerazione della provincia italiana non è imitazione della metropoli, né una rincorsa impossibile di Milano o Amburgo. Oggi il capitalismo più maturo sa che ci si dà uno scopo oltre al profitto, e l’Esg è propria di tutti gli operatori e anche della Ue. I privati e il terzo settore lavorano insieme», ha aggiunto Micelli. Per il quale è in atto ancora un altro cambiamento, quello della figura dell’architetto che subisce una «dissoluzione» nell’ipotesi in cui voglia ancora governare «in modo personalistico. Si guardi anche alla Biennale. Gli architetti devono ormai mobilitare un percorso di coprogettazione e cogestione».

Dalla sua Piero Petrucco, vicepresidente Ance, è entrato nello specifico del come concretizzare questo genere di intuizioni. Tornando su uno degli argomenti più gettonati quando si parla di rigenerazione urbana: la partnership pubblico-privato. «Una delle cose veramente importanti è pensare alla specificità italiana, nei suoi centri medio-piccoli, anche se è più cool pensare a grandi progetti milanesi. – ha affermato Petrucco – Ma c’è un tema di sostenibilità economica: quello che può essere possibile a Pordenone non è quello che lo sarebbe a Milano. Serve una forte compartecipazione pubblico-privato: i grandi fondi non verranno mai a Maniago. Per esempio a Udine è servito mettere insieme cose diverse: un pezzo di housing sociale, un pezzo tutto pubblico di piano periferie, un pezzo per le categorie economiche. – ha continuato – Anche perché la demografia è calante ora e formazione e lavoro servono a riempire i vuoti. Ma forse alcuni vuoti resteranno tali, non deve essere un tabù». Ma se la cooperazione tra pubblico e privato è indispensabile, non è detto che questo sia già stato compreso da tutti. Il meccanismo sconta ancora ritardi: «Per le imprese perché fare questi tipo di progetti è più faticoso, anche visti i problemi di patrimonializzazione che molte hanno. Sul lato Pa – ha detto ancora Petrucco – c’è inerzia e pigrizia iniziale ad affrontare e capire meccanismi e progetti di tipo nuovo. Ma questi progetti di partenariato sono virtuosi perché selezionano le imprese (soprattutto quanto a solidità finanziaria), ma selezionano anche progettisti e qualità del costruire perché ciò riduce i costi della manutenzione. E tagliano molto anche i tempi». Ecco perché Ance, ha spiegato Petrucco, intende «insistere per formare e convincere le imprese, che così cresceranno anche dal punto di vista culturale. Forse chi è più pronto è il mondo finanziario, dagli attori più a quelli meno istituzionali». Un altro step di modernizzazione da affrontare per le imprese italiane.

In copertina: Basilica di Sant’Antonio, Padova. Ph. ©Tiigra via Flickr

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Alessio Garofoli
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