26-05-2021 Chiara Brivio 3 minuti

Sostenibilità, demografia e architettura: alla Biennale di Venezia la storia della Takamizawa house

Nel padiglione del Giappone la ricostruzione di una casa tradizionale nipponica e le domande su come potrà essere l’edilizia del futuro

«È una dimostrazione visibile dei dirompenti cambiamenti che sono avvenuti nell’industria delle costruzioni nipponica seguendo il ciclo di vita di questa specifica casa»
Kozo Kadowaki

La disponibilità di materiali economici, la facilità nei trasporti di grandi dimensioni, l’esplosione della società consumistica sono tutti fattori che hanno portato grandi cambiamenti nel mondo delle costruzioni dagli anni ’60 ad oggi, portando i Paesi del nord del mondo anche verso l’industrializzazione dell’edilizia. E il Giappone non fa eccezione. Ma, allo stesso tempo, questo fenomeno ha comportato anche la produzione di enormi quantità di scarti di difficile smaltimento.


Quale può essere quindi oggi un nuovo modello di architettura sostenibile, meno “consumistica” e orientata al riuso, piuttosto che all’utilizzo di materiali prodotti industrialmente e fatti in serie?


È questo il tema dal quale parte e si snoda il percorso del padiglione del Giappone alla 17esima Biennale di Architettura di Venezia, curata dall’architetto e professore universitario Kozo Kadowaki e commissionata dalla Japan Foundation, l’equivalente dei vari Istituti italiani di cultura nel mondo.

Titolo della mostra Co-ownership of Action: Trajectories of Elements (Co-proprietà dell’azione: traiettorie di elementi), che per la sua installazione ha scelto di mettere in scena gli esiti della demolizione di una casa tradizionale giapponese nel quartiere di Setagaya, a Tokyo, trasportandone gli elementi fino alla città lagunare. Chiamata Takamizawa house (casa Takamizawa) dal nome dell’antico proprietario, l’abitazione, originariamente costruita nel 1954, è stata ri-assemblata a Venezia secondo una nuova configurazione, che include l’esibizione dei materiali tradizionalmente impiegati nell’edilizia dell’arcipelago – tra i quali spicca il legno – affiancati a quelli più moderni (tubi da ponteggio, reti e teloni) e suddividendoli nelle diverse epoche in cui la casa era stata ampliata o modificata. «Disporre i vari elementi secondo il periodo storico fornisce una fotografia interessante che mostra, anche attraverso la casa stessa, lo sviluppo che ha subito dell’edilizia giapponese nel Secondo Dopoguerra – spiega Kodowaki –. Per esempio, all’inizio venivano usati elementi principalmente assemblati in modo artigianale, ma con il passare del tempo sono stati rimpiazzati da quelli prodotti industrialmente e in serie. È una dimostrazione visibile dei dirompenti cambiamenti che sono avvenuti nell’industria delle costruzioni nipponica seguendo il ciclo di vita di questa specifica casa» conclude. Un modo anche per interrogare i visitatori sul tema del riuso, della ricostruzione e del ruolo, della seconda vita che possono avere i materiali anche grazie al ruolo della creatività nella progettazione e nella costruzione architettonica, rendendola anche più sostenibile.

Ma il tema dell’abitare viene esplorato anche da un altro punto di vista, cioè quello del declino demografico inesorabile e costante della popolazione giapponese – con una delle aspettative di vita più alte al mondo (quasi 84 anni) e un tasso di natalità invece tra i più bassi –, che ha portato a 8,5 milioni il numero di case vuote nel 2018. Unità residenziali, che, come la Takamizawa house, in qualche modo dovranno essere demolite e i materiali smaltiti. 

«La mostra consiste in una semplice casa giapponese fatta di legno. Il Giappone è uno dei Paesi ai primi posti per il declino della popolazione, ed è pieno di case che hanno oramai superato la loro utilità e aspettano solo la demolizione – spiega ancora il curatore –. La residenza che abbiamo ricostruito a Venezia è una di queste». «Ri-assemblare una casa frammentata secondo diverse configurazioni ha permesso anche agli architetti di sperimentare con le competenze degli artigiani locali, ridando nuova vita a ciascun elemento» ha concluso.

Interessante anche la vicenda di come Kodowaki sia arrivato alla Tamikazawa house come oggetto della mostra. «Stavo chiacchierando con un mio vicino, proprietario della casa di fronte alla mia, e gli ho raccontato delle difficoltà che stavamo incontrando per trovare il giusto “candidato” – scrive il curatore nella nota introduttiva nel catalogo preparato per la Biennale – e lui ci ha pensato su un momento e mi ha risposto: “Sto per demolire la mia casa e costruirne una nuova. Puoi prendere i materiali se vuoi. Serviti pure”».

Immagine di copertina ©Alberto Strada

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Chiara Brivio
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