Ex Hotel Michelangelo, decostruzione controllata e recupero dei materiali

26-01-2024 Paola Pierotti 4 minuti

A Milano completata da Despe la prima fase del cantiere. Al via i lavori dell’icona Park Associati

Uno degli obiettivi progettuali principali è stato quello di conservare concettualmente l’eredità di questo edificio
Park Associati

TopDownWay. Così si sintetizza il racconto della de-costruzione controllata dell’ex Hotel Michelangelo di Milano (una torre da 67 metri) a ridosso della stazione Centrale, demolito via via in questi mesi, e pronto per risalire con una nuova vita. Una storia di sostituzione edilizia a cielo aperto per quello che è stato anche utilizzato come primo centro convalescenza Covid 19 nella fase più delicata della pandemia: da simbolo dello skyline milanese per oltre mezzo secolo a nuova icona contemporanea firmata Park Associati.

«Uno degli obiettivi progettuali principali – raccontano gli architetti incaricati da Finleonardo per la riconversione a edificio per uffici – è stato quello di conservare concettualmente l’eredità di questo edificio, articolata attraverso il riutilizzo virtuoso di parte della materia strutturale dell’edificio preesistente: un processo di decostruzione mirato, in cui la maggior quantità possibile di calcestruzzo, vetro e metallo dell’Hotel Michelangelo verrà riutilizzato, in parte nel nuovo edificio ed in parte nel disegno dello spazio pubblico».

Redatto dal videomaker Fanelli Alberto della Threeditions Srl per la Proprietà Finleonardo Spa


Il processo racconta in modo tangibile un sistema circolare che punta all’impiego di risorse già prodotte, mitiga gli effetti delle emissioni di gas serra e «apre – dicono dallo studio Park Associati – al concetto di Urban Mining inteso come la possibilità di ottenere materie prime recuperate a partire dall’ambiente costruito».


MI.C sarà un progetto di disegno urbano, paesaggio ed architettura, con una serie di interventi su piazza Luigi di Savoia, «concepiti – raccontano gli architetti – come legante del suo tessuto urbano che manca di un’identità precisa nonostante la frequentazione forte e dinamica di cui è protagonista l’intera area. Il concept – spiegano – mira alla razionalizzazione dei flussi di spostamento e all’implementazione della pedonalità: il verde diviene attore principale della transizione proposta, sia attraverso il nuovo giardino ai piedi del nuovo complesso, sia per l’attivazione d’un paesaggio naturale diffuso. Gli stessi servizi esistenti, quali taxi e bike sharing verranno migliorati dall’inserimento di una velostazione ed aree coworking direttamente collegate al nuovo edificio».

Il nuovo progetto si articola in due torri adiacenti (alte una 94 l’altra 71 metri) che si sviluppano da un volume in cortina che lega il complesso al suo isolato; al piano terra l’edificio arretra rispetto al suo massimo sviluppo in altezza, andando a generare un naturale prolungamento della piazza. Dal punto di vista del concept, una sorta di “spina verde” sale, partendo dall’esterno, nella hall del piano terra e corre all’interno dell’edificio per assumere, in alcuni punti, una dimensione più rilevante che definisce spazi naturali indoor e outdoor.

La facciata è l’elemento più dinamico dell’intervento: si adatta e cambia coerentemente con lo sviluppo della vita interna dell’edificio. Il vetro è protagonista: sia come elemento di trasparenza che come motivo di composizione, grazie ad elementi a cuspide, parzialmente opachi e altri trasparenti, che mutano la propria inclinazione a mano a mano che acquistano verticalità. «In corrispondenza dei piani speciali, quelli in cui la spina verde emerge e si propende verso la città – raccontano gli architetti – la facciata si apre, aumentando la propria componente trasparente e svelandone l’elemento naturale contenuto al suo interno. Il risultato è un edificio adattabile che muta e si presenta sempre diverso a seconda delle particolari esperienze di cui si rende protagonista».

Protagonista di questa prima fase di decostruzione è stata l’azienda Despe che per la prima volta ha usato la tecnologia TopDownWay (ora scelta anche per un altro fabbricato in largo Treves, sempre a Milano). Obiettivo? Lavorare in totale sicurezza col minimo dei disagi (in termini di rumori e polveri) e molto velocemente. Un grande ulteriore vantaggio dell’impiego di questa tecnologia è la facilità nella separazione dei componenti edilizi, per un riuso intelligente dei materiali.

TopDownWay è il nome della macchina modulare autodiscendente che si è adattata alla forma della struttura da demolire, via via “mangiando” materiale. È un sistema intelligente di contenimento e racchiude al suo interno tutto ciò che la demolizione produce (vetri, macerie, detriti, rumori, vibrazioni, polveri, acqua nebulizzata). TopDownWay consente di lavorare in contemporanea sui 3 piani che occupa nei quali è possibile eseguire allo stesso tempo diverse operazioni come lo smantellamento delle facciate, la demolizione del piano e la rimozione delle macerie. La piattaforma scende in modo controllato sino a quando non raggiunge il livello zero e il palazzo è completamento demolito. Questo è lo step del cantiere dell’Ex Michelangelo.

«La nostra divisione di ricerca Park Plus – ha commentato Matteo Arietti, Head of Research dello studio – ha approfondito i temi del riuso intelligente dei materiali da costruzione e del processo che determina il recupero e riutilizzo dei componenti edili che costituiscono un edificio giunto a fine vita. In architettura parlare di economia circolare significa innanzitutto rendere possibile la ri-emissione sul mercato dei materiali recuperati. Questa tecnologia di de-costruzione consente di dividere i materiali già nella fase iniziale della demolizione, così da ottenere la massima efficacia e l’ottimizzazione dei risultati. Nell’ottica di una responsabilità ambientale e di un’architettura etica e sostenibile».

In copertina: Vista dalla struttura di de-costruzione/ TopDownWay © Nicola Coletta

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Paola Pierotti
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