Bladidea: Architettura in dialogo con il paesaggio montano, alleandosi con la filiera
Focus sullo studio con due basi a Saint Vincent e Torino; intervista a Marco Maresca
Fare architettura nel Nord Ovest, in dialogo con il paesaggio alpino, sperimentando sull’uso del legno, intercettando l’onda del mercato delle seconde case e oggi quello dell’hospitality. Bladidea è un gruppo di lavoro composto da 5 architetti 40-50enni. Tre nella sede valdostana, a Saint Vincent, Marco Maresca (1963), Diego Brustia (1979) e Massimo Desalvo (1970); e due a Torino: Hermann Kohlloffel (1967, nato in Germania, gavetta in Francia anche preso lo studio Buffi Associes e quello di Manuelle Gautrand) e Alessandro Rigazio (1977). Un paio di loro con una collaborazione con Camerana&partners. Insieme hanno progettato e costruito diverse strutture ricettive, oggi sono coinvolti per la costruzione di un incubatore di biotecnologie e di medicina traslazionale a Torino, e sono impegnati sempre per un nuovo progetto alberghiero, «ma anche per un intervento di riqualificazione ambientale, edilizia ed energetica in Valle d’Aosta – racconta Marco Maresca – che prevede la demolizione dei volumi emergenti realizzati nel dopoguerra, sostituiti da una struttura ricettiva “ipogea”, con produzione in loco di tutta l’energia necessaria (elettrica ed idrogeno) per il funzionamento dell’edificio e la riconversione della mobilità veicolare dell’intero vallone alpino».
Dal vostro osservatorio, come sta il mercato dell’architettura in Valle D’Aosta? L’Alto Adige si distingue per i concorsi privati, è una prassi anche nel vostro territorio?
Nel 2020 e 2021 la Cervino spa e la Pila spa hanno indetto rispettivamente un concorso di idee e di progettazione per la riqualificazione di alcune infrastrutture importanti. Al di fuori di questi casi non ho notizia di concorsi privati (peraltro ancora poco utilizzati anche dalla Pa).
Ciononostante, in questi ultimi anni la qualità architettonica è sensibilmente aumentata (lo dimostra la presenza di numerosi progetti valdostani alle recenti mostre di architettura organizzate dall’Istituto di Architettura Montana del Politecnico di Torino), grazie al lavoro dei progettisti e alla richiesta di qualità da parte dei committenti (soprattutto nel settore ricettivo), ma anche ad una grande apertura e collaborazione della Soprintendenza nell’esercizio della propria azione di tutela.
Negli anni ha avuto anche un ruolo tecnico negli enti locali, qual è il suo percepito nel rapporto tra professionisti e pubblico?
Personalmente, a livello locale, non ravviso alcuna carenza di sinergia tra professionisti e tecnici della Pa. Tuttavia, ritengo che, nel rincorrere la “semplificazione”, ci sia stata un’iperproduzione di modulistica spostando troppe attenzioni sulle procedure a discapito dei contenuti. Inoltre, e mi riferisco allo “stato legittimo” degli immobili che costituisce il presupposto per la riqualificazione del patrimonio edilizio, credo che si dovrebbe guardare al costruito per quello che è: un mondo imperfetto, non sempre compatibile con le “tolleranze costruttive” fissate dal legislatore, che, prima o poi, andrà regolarizzato visto che non lo potremo radere al suolo…
Nei vostri progetti cercate una sintesi tra tradizione e tecnologia. Prevale nel tempo l’uso del legno, come si è evoluto il vostro approccio?
Nei nostri progetti valligiani abbiamo sempre utilizzato molto legno; quello che è cambiato nel tempo è la funzione: inizialmente veniva impiegato prevalentemente per rivestimenti di facciata, strutture di copertura, balconi e, più raramente, per orizzontamenti e, solo negli ultimi anni, siamo riusciti a progettare edifici con elementi strutturali prevalentemente realizzati in legno.
Ci sono progetti come il centro visita del Parco nazionale del Gran Paradiso di Campiglia Soana e il CampZero Active & Luxury Resort pensati per essere costruiti in legno (non sarebbe stato possibile nè coerente ipotizzare strutture diverse), ma per poterli realizzare è necessario collaborare con un costruttore che abbia “dimestichezza” con questa tecnologia e che il committente riesca a prendere le distanze dalle più consuete e “rassicuranti” strutture in cemento armato.
Un caso specifico. Per l’ex-hotel Au Charmant Petit Lac di Ayas, che ruolo ha l’industrializzazione edilizia per voi?
Quando abbiamo iniziato il progetto del Petit Lac stavamo costruendo il CampZero, dove avevamo previsto pareti, orizzontamenti e coperture delle camere in X-Lam, realizzati in collaborazione con la ditta Essepi S.r.l di Cavedine (Trento). In entrambi i casi, benchè avessimo utilizzato orizzontamenti e coperture sensibilmente diversi per tipologia ed attività di cantiere per il completamento e la posa delle componenti prefabbricate, la tecnica costruttiva è stata fondamentale per il rispetto dei tempi di consegna perché è stato possibile lavorare quasi ininterrottamente anche durante la stagione invernale. Per noi, e per i nostri clienti, si tratta di un fattore molto importante che dovrà tuttavia essere rivalutato alla luce dei recenti incrementi di prezzo dei materiali e, soprattutto dei tempi di attesa che, in alcuni casi, potrebbero invalidare la maggiore velocità esecutiva.
Con la vostra esperienza, come si “difende” la centralità del progetto nel rapporto con la manifattura?
Tendenzialmente, sviluppiamo il concept e il progetto in piena autonomia rispetto ad un potenziale appaltatore, pur considerando le peculiarità del sistema costruttivo che abbiamo scelto. Nelle fasi successive, perlomeno negli interventi più complessi, la qualità del progetto rappresenta ormai un interesse comune di progettisti (qualità architettonica), di costruttori e committenti (specifiche di prodotto, tempi e costi del manufatto edilizio finito).
Purtroppo, non si può dire la stessa cosa per alcuni appalti pubblici, a fronte di un’inadeguata definizione dei limiti delle offerte migliorative, e nei lavori più semplici dove, a volte, si investono meno risorse nella progettazione esecutiva e ci si affida a costruttori più “creativi”. In questi casi è necessaria una maggiore presenza in fase esecutiva…
Case, ristoranti e hotel. Questo il vostro perimetro di azione? Per scelta o opportunità?
Inizialmente scelte ed opportunità coincidevano, soprattutto nel mercato valdostano connotato da una forte presenza di seconde case. Tuttavia, negli anni molte amministrazioni locali hanno privilegiato lo sviluppo delle strutture ricettive, che oggi rappresentano praticamente la totalità dei nostri progetti di nuova costruzione in ambiente montano.
Il mercato torinese è indubbiamente più articolato ed offre possibilità diverse, seppure in associazione con altri operatori e con ruoli differenti rispetto a quello di coordinamento progettuale, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, ad esempio, per l’incubatore di biotecnologie e di medicina traslazionale.
Le tre opere più significative nel vostro percorso professionale?
Il centro visita del parco nazionale del Gran Paradiso, a Campiglia Soana, realizzato tra il 2011 ed il 2017, dopo avere vinto il relativo concorso di progettazione, nonostante le dimensioni modeste, è interessante per l’elevata complessità costruttiva, con particolare riferimento all’involucro (tetto-parete) che presenta una doppia curvatura.
Con Il progetto del CampZero (che si è appena aggiudicato il premio IN/Architettura Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta 2020, ndr) abbiamo cercato di superare l'approccio tradizionale secondo il quale l’inserimento dei nuovi manufatti nel contesto risponde a criteri di compatibilità paesaggistica, basati su un netto dualismo edificio ambiente. Abbiamo modellato il paesaggio per conferirgli le geometrie funzionali ad integrare l’importante volume emergente di circa 20mila mc.
E poi, nel progetto del “Au Charmant Petit Lac” molte strutture in legno (elementi di facciata, solai e soppalchi e la grande copertura, che diventa parete nel tratto con maggiore inclinazione) sono state lasciate a vista e questo ha richiesto una grande integrazione fra progetto architettonico e strutturale che è stata possibile grazie al supporto e alla professionalità di WoodBeton.
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