25-11-2020 Chiara Brivio 5 minuti

Daniele Fiori: solo case, e (quasi) solo a Milano, ma rigorosamente green (idroponica inclusa)

Intervista all’architetto: alleanza con i developer e budget per essere creativi

«È dalla fine degli anni ‘90 che metto il “bio” in tutte le mie costruzioni. Ho iniziato a fare questa cosa, che anche se è più costosa, al cliente non dispiace affatto»
Daniele Fiori

«È dalla fine degli anni ‘90 che metto il “bio” in tutte le mie costruzioni. Ho iniziato a fare questa cosa, che anche se è più costosa, al cliente non dispiace affatto. Via via è diventata una moda, ma sono grato a Carlin Petrini perché per me è stato lui a dare il via in Italia a questa cultura del biologico». Daniele Fiori descrive così la filosofia del suo studio, Dfa Partners, fondato a Milano nel 2012 e del quale oggi è managing partner, che ha fatto della sostenibilità, della bioarchitettura e del recupero di edifici industriali e residenziali la cifra dei suoi progetti. Da opifici e luoghi di lavoro a residenze di alta gamma, ma sempre nel rispetto del “genius loci” e degli elementi identificativi di ciascun luogo. A Milano, dagli ex Opifici Lombardini, D’Adda, Magolfa, in zona Navigli, ai progetti dei “condomini orizzontali” de Il Chiostro e Horti, fino all’ultimo progetto, Forrest in Town, dentro la ex cascina Galbani, nel quartiere Barona. Alcuni di questi edifici erano sotto tutela della Sovrintendenza, altri erano semplici aree residenziali. Il “locus” in questione è sempre il capoluogo lombardo, «Qualcosa abbiamo fatto anche in Versilia, all'estero a Miami e in Oman, ma per noi il mercato è qui – precisa – anche se i costi di ristrutturazione non sono così diversi da altre città, il valore immobiliare è 1 a 10, e questo fa la differenza». E Fiori, che è stato anche sviluppatore d’impresa nel campo del real estate, cerca sempre la quadra tra conti e creatività.

Ma che siano case di ringhiera, “borghi residenziali” o condomini orizzontali, la “filologia” dei progetti, come la definisce Fiori, non cambia: corti interne, spazi verdi, tecnologie green, luoghi di socialità tra i condomini, anche a prova di Covid. «Nel ricreare l’ambiente di una casa di ringhiera, è facile che il vicino non conosca quello che sta al piano di sopra o di sotto, e non incontri mai nessuno. La nostra soluzione del condomino orizzontale facilita l’incontro, o meglio puoi salire in casa senza che nessuno ti veda, ma entrando dal piano terra (nella corte interna), se vuoi ti fermi e socializzi». Case orizzontali che si contrappongono ai grattacieli che costellano lo skyline di Milano, le cui funzioni sono state messe fortemente in crisi dalla pandemia.

Secondo Fiori, la cultura della domanda ha dovuto fare i conti con un cambiamento: ci si è resi conto che non erano importanti solo le facciate, ma anche gli interni degli appartamenti e degli edifici, che in realtà sono gli spazi che quotidianamente vivono i loro abitanti. Spiega l'architetto che le “case all’interno”,  considerate di serie B negli anni ‘50 e ‘60, oggi vengono rivalutate e, a giudicare dalle vendite, anche apprezzate, soprattutto nell’epoca del Covid, delle “città a 15 minuti”, e della fuga verso i borghi (si veda anche il recente bando del Mibact per il rilancio dei borghi italiani). Ma anche su questo tema, Fiori non è pienamente d’accordo. «Perché non possiamo ricreare dei borghi a Milano – si chiede –, perché c’è la necessità di fare una villetta, e non di rimettere a posto un edificio preesistente? Magari ampliandola con gli stessi caratteri?», anche approfittando della capillarità dei servizi milanesi, che potranno aumentare l’offerta residenziale anche oltre la cintura interna della città.

E sui suoi progetti Fiori spiega che ognuno ha avuto una genesi diversa, ma è stata accomunata da un forte sodalizio con committenti e developer, che hanno voluto investire di più su un progetto più sostenibile, e che venda già sulla carta, una caratteristica che permette all’architetto di mantenere una certa autonomia creativa. Dal Chiostro 4.0, commissionato da Vico Olivetani Immobiliare – 5 ville a schiera dotate di spazi verdi privati a patio e 28 unità immobiliari, su un’area di oltre 4500mq dove un tempo sorgeva il Pio Istituto pei Figli della Provvidenza, nella zona di Sant’Ambrogio – a Horti, il cui cantiere dovrebbe chiudersi nel 2021 su progetto di Michele De Lucchi per Bnp Paribas Real Estate Property Development, dove Dfa ha curato gli interni, che coinvolge oltre 14mila mq e dove saranno realizzate 80 residenze. Infine, Forrest in Town, l’ultimo progetto dello studio nel quartiere Barona, attualmente in corso, nella ex fabbrica della Galbani. Il primo "borgo" cittadino segnato dall’utilizzo della tecnologia idroponica e sviluppato per il gruppo torinese Building, che ha recentemente inaugurato un’altra residenza di pregio a Torino, Domus Lascaris. Anche in questo caso si tratta di un complesso residenziale che si sviluppa intorno a una corte, con un parco di 6.200 mq sul quale si affacciano tutti gli edifici, che contengono diverse soluzioni abitative per una superficie complessiva 10mila metri quadrati.

«Ho studiato, ho fatto ricerca, sono rimasto affascinato dall’idroponica – racconta Fiori, che dà credito a suo figlio per averlo fatto appassionare a questa tecnica di coltivazione fuori suolo –. Se noi coltivassimo come fanno gli americani, avremmo bisogno di 3 mondi nel 2050, ma se coltivassimo in idroponica, avremo bisogno solo 30%-40% del nostro pianeta. Sono rimasto colpito da questi dati». Tanto da aver deciso di inserire un locale di 250 mq nel progetto, dove saranno prodotti ortaggi che potrebbero soddisfare il 40% del fabbisogno dell’intero complesso, con il restante 60% che potrà essere venduto ai negozi di prossimità, nella vera ottica della città green a 15 minuti. «Ed è una cosa sanissima» aggiunge.

E i prossimi cantieri? «Sicuramente interessanti» risponde, ma per questioni di privacy verso i clienti non aggiunge altro.

Immagine di copertina: Opificio Magolfa ©DFA Partners

 

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Chiara Brivio
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