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01-12-20   I   Chiara Brivio | Lettura : 3 Minuti

Notizie da instagram o spazio alla riflessione? La comunicazione sotto la lente dei direttori delle riviste d’architettura

Per i 30 anni di Area tavola rotonda guidata dai partner dello studio Archea

«Siamo passati dall’esclusività del progetto all’esclusività del pensiero. Il progetto si consuma, ma resta la possibilità di discutere delle sue visioni e delle sue finalità»

Marco Casamonti

C

he cosa significa comunicare l’architettura oggi? Quale ruolo, valore, mission continuano ad avere le riviste cartacee, specializzate, nell’era del digitale? Questi alcuni dei temi al centro del dibattito tra i direttori delle pubblicazioni di architettura più affermate in Italia, riunitisi intorno al “tavolo” virtuale della redazione di Area e diretta da Marco Casamonti e Laura Andreini di Archea Associati. L’occasione dell’incontro i 30 anni di Area, la storica rivista edita da alcuni anni da Tecniche Nuove.

Tra i nodi più importanti che sono emersi sicuramente quello del “tempo” e del rapporto tra l’immediatezza dell’informazione e della sua fruizione e l’impatto immediato delle immagini, contrapposti alla “lentezza”, o meglio, ai tempi tecnici necessari per confezionare contenuti e articoli di approfondimento. Immancabile il riferimento all’architettura instagrammabile. «L’architettura è l’arte dei tempi lunghi – apre Casamonti – della riflessione, del pensiero e riflettere sull’architettura richiede un tempo che non è quello dell’immediatezza». Una considerazione sposata in toto da Francesco Dal Co, direttore della storica rivista Casabella, che sottolinea quanto il modo in cui si fa comunicazione di architettura e dell’uso delle immagini oggi non sia altro che un riflesso di un modo di vivere, di abitare e di fruire delle nostre città, cioè di «indurre a reazioni immediate». Visione alla quale si contrappongono le riviste, «che hanno la caratteristica della durata, del tempo e del percezione anche nella quotidianità, perché poi chi dirige, chi lavora in una rivista di architettura in particolare ha questo compito, di interrogare quotidianamente ciò che viene offerto, andando al di là delle immagini» aggiunge. La comunicazione di architettura quindi dovrà essere riflessione, approfondimento, stimolo, «siamo passati dall’esclusività del progetto all’esclusività del pensiero – aggiunge Casamonti –. Il progetto si consuma, ma resta la possibilità di discutere delle sue visioni e delle sue finalità».

Un discorso che si innesta anche su un’altra dicotomia, quella di una comunicazione che quasi si trova costretta a differenziarsi tra un’arte visiva più immediata, con immagini d’impatto trasmesse in tempo reale dal web, e quella riflessiva, raccontata dall’”ultimo umanista”, l’architetto-narratore, come l’ha definito Paolo Portoghesi, architetto e direttore della rivista Abitare la Terra, riprendendo la definizione di Umberto Eco.

«Costruire percorsi e identità» è invece l’opinione di Luca Molinari, direttore di Platform e critico d’architettura, neo-direttore del Museo M9 di Mestre, che aggiunge «le riviste, in qualsiasi forma, vivono solo se hanno la capacità di produrre sapere e critica originali. Il mondo si sta trasformando radicalmente – aggiunge – e ci sta rilanciando delle domande di senso. Le riviste di architettura devono dare delle risposte. Non è un andare dietro ai siti – conclude – ma costruire narrazioni di pensiero, di scrittura e di immagine». Importante per Molinari inoltre è che le riviste possano anche diventare luoghi di multidisciplinarietà, capaci di generare esperienze di comunità.

Differenziazione è invece il modello di Domus, oggi guidata da Walter Marriotti, che dall’altra parte sta sperimentando delle forme ibride di comunicazione dell’architettura, affiancando al formato cartaceo anche il restyling del sito e la realizzazione dell’annuale Forum di Domus, un format grazie al quale «si possono trasferire gli assett della rivista dentro un evento».  Senza dimenticare la particolarità della pubblicazione, ogni anno ha un architetto diverso come guest editor – nel 2020 è stato David Chipperfield, il nuovo sarà comunicato a giorni –, che cura 10 numeri della rivista insieme alla redazione. «Bisogna trasferire la comunicazione anche dentro gli altri canali» ha aggiunto Mariotti, in un’ottica di contenimento dei costi e controllo dei bilanci (nota dolente di tutto il settore in Italia), senza però sacrificare la qualità e il prestigio del nome. Ma anche in questa visione diversificata e molto moderna e che in qualche modo abbraccia la tecnologica, la rivista rimane il prodotto di comunicazione per eccellenza.

Immagine di copertina tratta dal sito di ©Area

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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