21-01-2021 Francesca Fradelloni 5 minuti

Spazi urbani, con l’aiuto della Bauhaus europea mai più “non luoghi”

Dall’Osservatorio Smart City dell’Università Bocconi, gli esperti ripensano la città del futuro

«Bisogna avviare politiche di riqualificazione energetica di interi quartieri, innescando processi virtuosi nell’edilizia»
Giuseppe Marinoni

Spazi urbani e smart city, sarà tutto da rivedere, immaginare nuovamente. In aiuto tanti soldi europei e nuove idee, creatività, pensiero laterale e innovazione. Questi i pilastri su cui porranno le basi i nuovi cantieri per costruire il mondo del futuro in epoca Covid. Cercando di non fare l’errore del passato e cioè di immaginare città come nel dopoguerra, pianificate sul pendolarismo, protagoniste di grandi sprechi ed edificate con palazzi e quartieri senza identità e incapaci di creare aggregazione, secondo la definizione di Marc Augè.
Era il 1992 quando l'antropologo francese coniava il neologismo “non-luogo”, oggi nel 2021 contro quel concetto, figlio della super modernità del XX secolo, della globalizzazione e dell’iper-consumismo, dall’Osservatorio Smart City dell’Università Bocconi di Milano si traccia la strada.

E mentre la Bocconi fa pregio della sua efficienza, Milano prova a rialzarsi piano piano, mettendo in moto la sua resilienza. Parola abusata, ma parola chiave della Next Generation Eu. Parola che racconta il modo di riuscire ad assorbire i grandi choc e farli rimbalzare, resistere alle emergenze, in questa battaglia all’imprevisto, il ruolo delle città è fondamentale. Milano è stata l’apripista della pandemia, ha elaborato una strategia di adattamento, ma adesso c’è davanti agli occhi di tutti e tutte la necessità della ricostruzione di un tessuto sociale ed economico che passa anche dall’architettura e dalla pianificazione urbana.

Perché davanti abbiamo due sfide, non solo quella sanitaria, ma anche quella climatica. Salute delle persone e salute del pianeta, vanno di pari passo. Lo chiedono i cittadini. Chiedono uno sforzo collettivo. «Tanti i piani di investimento per le città del futuro, per le smart city, in termini di trasporti, della salute, di attività commerciali», spiega Massimo Gaudina, capo della rappresentanza a Milano della Commissione europea. «Ora c’è l’esigenza di costruire spazi nuovi e dallo smartworking alla smart city il salto è breve. C’è un grande bisogno di mettere a rete queste nuove esperienze e queste nuove soluzioni: il concetto di sharing, per esempio. Oltre al grande piano straordinario di tre anni, il Next generation Eu, ci sono anche i piani ordinari, i fondi strutturali che hanno una forte componente metropolitana. C’è una grossa fetta del futuro fondo europeo di sviluppo regionale che è dedicato alle città metropolitane. C’è il programma Invest You, per infrastrutture, piccole imprese, energia e trasporti, c’è il nuovo programma per la ricerca Horizon Europe (il più grande piano per la ricerca e l’innovazione) e il New European Bauhaus così chiamato da Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Ue».

La Von der Leyen ha rilanciato questo movimento culturale architettonico, scientifico, che mette l’accento sulla progettazione delle città del futuro, con un focus sul design. Perché il green deal non può rimanere solo una questione che riguarda l’industria, ma deve essere anche una rivoluzione culturale per pensare in modo diverso gli spazi e gli edifici. Milano può dire la sua. Un vento d'innovazione, che coinvolge studenti, artisti, architetti e design. Un nuovo piano culturale per l'Europa, inteso come rete d'iniziative. New European Bauhaus, è stato battezzato perché evoca quella culla della modernità nata a Weimar dalla mente di Walter Gropius nel 1919. Appellarsi a un nuovo Bauhaus oggi, è un modo per evocare un forte rinnovamento culturale, sotto la spinta del Recovery Plan.

E come utilizzare questi fondi? «Sicuramente bisogna pensare a un approccio rigenerativo della città», interviene l’architetto Giuseppe Marinoni. «Non basta il Superbonus, ma bisogna avviare politiche di riqualificazione energetica di interi quartieri, innescando processi virtuosi nell’edilizia. E poi ripensare a un piano trasporto: ridurre quelli privati e intensificare quello pubblico a impatto zero. E poi accorciare le distanze casa-lavoro e la rivitalizzazione degli spazi aperti. Non avviando una demagogica campagna dell’albero, ma ripensare urbanisticamente a come il verde possa diventare protagonista all’interno di un sistema sociale: parchi giochi, giardini e boulevard». La città post Covid dovrà quindi avere progetti di lunga durata e strategie che si fondano su nuove centralità urbane e nuove centralità territoriali.

Vere centralità, non downtown dove concentrare case di lusso, in cui è impossibile accedere all’acquisto delle abitazioni, perché questo genererà ulteriore pendolarismo. «Ci sono due visioni per rispondere alla crisi: una pensa che la crisi è esogena, un fenomeno episodico, e che quindi bisogna raccogliere le macerie subito e in fretta (l’idea del piano Marshall). L’altra visione è che la crisi è endemica, derivante dalle logiche del sistema mondiale, bisogna quindi riformare mentre si ricostruisce (la filosofia del piano europeo Next generation)», spiega Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia. «È in discussione il ruolo aristotelico della città, bisogna quindi ridisegnare la città, utilizzando ogni forza in campo. Perché siamo di fronte a una rarefazione del ruolo umano», conclude.

«La pandemia ci ha insegnato a rallentare, le città devono imparare ad andare piano, per questo il grande cambiamento riguarderà pure il binomio casa-lavoro», racconta Massimiliano Mandarini architetto di Marchingenio workshop Creative Living Lab.
Anche l’Università ha dovuto ripensare gli spazi. «Da una popolazione di 15mila persone al deserto», così Riccardo Taranto, consigliere delegato dell’Università Bocconi. «Abbiamo imparato a convivere e a lavorare con il Covid. Abbiamo introdotto sei chilometri di segnaletica nel campus, inventato le rotatorie pedonali, siamo intervenuti con un pesante bilanciamento dello smart working per i dipendenti, siamo riusciti, grazie alla nostra tecnologia avanzata, a svolgere 95mila esami a distanza e a organizzare più di 1800 eventi l’anno in modalità webinar. Il nuovo mondo innovativo ci ha permesso di guadare il virus in faccia ed affrontarlo», conclude Taranto.  

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Francesca Fradelloni
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