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14-12-20   I   Francesco Fantera | Lettura : 4 Minuti

Blocco opere pubbliche, il punto di vista dei Rup e delle imprese

Qualificazione e concentrazione delle stazioni appaltanti. Ma per la De Micheli «serve la volontà politica» per l’avvio dei cantieri

«La costruzione di un contratto di programma deve essere collegiale per lasciare solo il tempo della firma per la definizione degli aspetti amministrativi»

Paola De Micheli

P

erché in Italia infrastrutture e contratti pubblici sono fermi? Una domanda ricorrente all’interno della filiera delle costruzioni. Per capirne le ragioni, e provare a invertire la rotta, si va in ascolto dei diretti interessati. L’indagine promossa da Conferenza delle Regioni e Provincie autonome, Confindustria, Ance e Luiss, invece, nasce proprio in quest’ottica: cogliere la percezione di stazioni appaltanti e operatori economici rispetto al blocco delle infrastrutture e dei contratti pubblici. Il quadro che ne emerge dimostra come alla faglia tra il pubblico e il privato si aggiunga il peso di due fattori da non sottovalutare, l’età degli intervistati e il fatturato delle imprese. Capiamo il perché.

La ricerca riporta l’opinione di 5.104 Rup delle stazioni appaltanti e 217 operatori economici, e funge da vera e propria radiografia rispetto alle criticità del sistema dei contratti pubblici. Se guardiamo ai primi, emergono giudizi critici riguardo al Codice dei contratti pubblici del 2016 per via della sua difficile applicazione che si traduce in un rallentamento degli investimenti pubblici e aumento degli adempimenti burocratici. Va meglio se si parla del cosiddetto sblocca cantieri, ma l’81% dei giovani e il 62% degli ultracinquantenni reputano che questo intervento legislativo non abbia risolto le principali criticità preesistenti. Rilevante il parere rispetto la normativa anticorruzione: qui solo il 38% degli under 35 la ritiene utile, percentuale che crolla al 13% se a rispondere è un dirigente. Sempre le due categorie si differenziano quando gli si chiede se l’espansione delle competenze regolative dell’Anac abbia contribuito a garantire trasparenza e legalità. Il 65% dei giovani risponde affermativamente, cifra che scende al 51% per i più anziani e al 42% per i direttori (tendenzialmente più senior).

«A mio avviso lo sblocco delle opere pubbliche, in particolare delle infrastrutture, è prima di tutto frutto di una volontà politica» ha spiegato la Ministra Paola de Micheli, a capo del dicastero di Infrastrutture e Trasporti, durante il webinar organizzato dai promotori della ricerca per presentare i primi risultati. «Abbiamo bisogno di interventi di grandi e piccole dimensioni, ma la discussione su molte di queste è sul se farle e come farle, quando non addirittura se sia il caso di tornare indietro rispetto a cantieri già aperti. Il meccanismo della discussione pubblica in questo senso registra ancora grandi difficoltà». Altro tema che impatta negativamente sull’avvio delle opere riguarda la modalità con cui vengono confezionati i contratti. «Non è possibile che ci sia bisogno di pareri multipli con il risultato di perdere anche tre anni – ha sottolineato la de Micheli – in particolare quando sono chiari gli interventi che si finanziano e le fonti di finanziamento che li determinano. La costruzione di un contratto di programma deve essere collegiale per lasciare solo il tempo della firma per la definizione degli aspetti amministrativi».

Rispetto alle varie fasi del ciclo dei contratti pubblici, nella ricerca la fase critica viene individuata dalla maggior parte dei Rup intervistati nella gara e nell’aggiudicazione (secondo il 49% dei giovani e 61% dei più anziani). «In realtà i momenti critici sono nelle fasi dove i riflettori sono spenti» ha sottolineato il Consigliere di Stato, Giulio Veltri. «Se parliamo del fattore tempo, non c’è dubbio che le fasi più impegnative siano progettazione ed esecuzione. I funzionari temono la gara perché significa accendere i riflettori, avere a che fare con avvocati e giudici. E molto più difficile è progettare, ma si fa al chiuso. I momenti critici sono proprio quelli dove i riflettori sono spenti. Il vero problema durante la fase di gara – ha spiegato Veltri – è quello della cosiddetta paura della firma».

Tra le azioni che potrebbero facilitare le funzioni delle stazioni appaltanti, i Rup concordano sulla necessità di ridurre drasticamente il proprio numero. Una scelta che porterebbe a focalizzare il monitoraggio anticorruzione, si tradurrebbe in un’adeguata remunerazione per chi si occupa di appalti e consentirebbe una maggiore qualificazione. Elemento, quest’ultimo, che oltre il 70% degli operatori economici intervistati vede come passaggio fondamentale per la professionalizzazione della PA. Diversa l’opinione invece per quanto riguarda la centralizzazione e aggregazione della committenza che mentre per il 71% delle imprese sopra i 20 milioni di fatturato è a favore, contro il 47% di quelle sotto i 500mila euro. Sguardo anche alla digitalizzazione che spesso viene descritta come imprescindibile per rivoluzionare la PA. Il processo incontra il 92% dei consensi tra i Rup più giovani, mentre scende al 78% per gli ultracinquantenni.

Per uscire da questa fase di stallo nel rapporto fra operatori e Pa «serve muoversi in due direzioni» ha spiegato Giuseppe Busia, presidente dell’Anac. «Da un lato una reale qualificazione delle stazioni appaltanti. Si deve aumentare la loro capacità amministrativa. Il Codice non difende a prescindere le stazioni appaltanti nei confronti delle imprese, ma offre strumenti per suggerire un dialogo virtuoso fra pubblico e privato. Perché questo si realizzi abbiamo bisogno di soggetti pubblici che possano parlare da una posizione paritaria rispetto al privato, altrimenti si creano storture. Altra azione efficace potrebbe essere quella di rafforzare le centrali di committenza. Devono essere specializzate e superare anche l’ambito regionale, stimolando una competizione positiva fra i diversi soggetti che vada in direzione di favorirne le capacità».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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