27-01-2022 Paola Pierotti 7 minuti

Cimenti: Per essere riconoscibili ed indispensabili, produrre architettura di qualità

Dal Superbonus al product design. Vent’anni di Studio Ata, a monte una carta di diritti e doveri

La leva degli incentivi per fare architettura. L’onda del Superbonus come opportunità per fare ricerca applicata nell'ambito della demolizione con ricostruzione. La lezione arriva da Torino, da Studio Ata, dove uno dei partner, Alessandro Cimenti, racconta «abbiamo sviluppato un programma di unità abitative, Superhouses, che va a sfruttare appieno i massimali messi a disposizione del decreto Superbonus. Abbiamo stipulato un protocollo di collaborazione con un'impresa costruttrice per la realizzazione delle case e successivamente sono arrivati i clienti. In sostanza abbiamo completamente ribaltato l'idea di applicazione dell’incentivo, e la tradizionale consequenzialità dei vari passaggi che determinano la realizzazione di un'opera di architettura». In un mondo iper-specializzato Studio Ata ha scelto di mantenere una “ampiezza di sguardo” sulle diverse scale e tipologie di intervento. «Crediamo che possa essere più naturale riuscire a spostarsi ed approfondire quelle tipologie e quegli ambiti che progressivamente diventano "prioritari". Consideriamo infatti che da quando abbiamo iniziato a fare la professione le tematiche dominanti sono già state diverse: dal recupero industriale alle grandi opere (Olimpiadi), dal consumo di suolo zero al Superbonus, dagli spazi pubblici agli edifici scolastici. Senza un approccio aperto e curioso si rischia l'autoesclusione dal dibattito nazionale e internazionale».

Per uno studio che cerca di fare architettura i bonus non rappresentano una leva particolarmente ghiotta in quanto sono indirizzati principalmente ad interventi tecnologici e di superficie. Un vostro suggerimento guardando al prossimo futuro?
Intervenire sul patrimonio edilizio è estremamente costoso e pochi se lo possono permettere. Con questa chiave di lettura pensiamo che i vari bonus siano fondamentali ma devono essere riorganizzati e resi in qualche modo strutturali. Bisogna spostarsi dalla logica del 110% e ragionare su una aliquota unica (per esempio 65%) e mantenere assolutamente la possibilità di cedere il credito. 

Studio Ata ha compiuto vent’anni. Il vostro bilancio?
Il modo di fare questo mestiere è cambiato e sta cambiando ad una velocità impressionante. Lo studio è stato fondato nel 2000 da 10 neo-architetti, oggi siamo in 8 associati e un numero di collaboratori variabile (in questo momento altri 7). Ci siamo da subito organizzati con la stesura di un documento (la carta di Studio Ata) che definisce compiti, responsabilità, diritti e doveri, delle varie figure che hanno a che fare con lo studio. La tendenza negli anni è stata variabile nel tipo di lavori eseguiti (per esempio da una prevalenza di lavori pubblici ad una di tipo privato) e per la dimensione.


Considerando che Studio Ata si impegna su innumerevoli fronti (dal web design alla scala urbana) i lavori realizzati sono centinaia. Le opere di architettura che in qualche misura hanno ottenuto dei riconoscimenti sono una quindicina


Le ultime opere che avete portato a termine?
Nel pubblico un intervento di social housing a Pinerolo (Torino) in cui il tema è stato lo svuotamento di una parte dell'edificio e l'introduzione di un nuovo corpo scala. Nel privato, un'abitazione a Cigliè (Cuneo) in cui l'uso del mattone a vista caratterizza l'intera realizzazione.
Negli interni degli uffici a Quart (Ao) in cui all'interno di un autosalone è stato introdotto un volume circolare sospeso. E ancora, per il filone degli allestimenti l'Italian Pavilion a Venezia (Ve) per il quale abbiamo scelto di reinterpretare il tema della “strada novissima”.
Nel design di prodotto, il portapenne “Ecco!”: un tubo di acciaio di un metro è diviso in 10 segmenti da 10 centimetri ciascuno, riassemblato per essere contenuto in una scatola cubica di 10 cm di lato. A tutto questo si aggiungono siti web ed eventi di promozione culturale.

I committenti come arrivano da voi? 

Anche per trovare clienti e nuove commesse le strade sono diverse, non abbiamo una strategia univoca: dal passaparola alla conoscenza, dai concorsi alla telefonata inattesa.  

A proposito di concorsi, cosa ne pensi? Cosa va e cosa no, oggi in questo istituto? 

Ci credo fermamente. È senza ombra di dubbio lo strumento più idoneo, corretto, trasparente, meritocratico per fare architettura.Il problema è che ce ne sono pochi. Il tipo di concorso di progettazione in due gradi, che è stato sviluppato nel tempo – grazie anche all'introduzione delle piattaforme informatiche per la gestione – è arrivato ad un livello di sviluppo tale da renderlo talmente efficace che anche alcuni committenti privati lo utilizzano. Per migliorare ulteriormente la situazione bisognerebbe creare una linea di credito per finanziare i comuni (e forse le prime risorse stanno arrivando, ndr) che ne vogliono fare uso.   

Rubiana ©Studio AtaHai trovato tempo e spazio anche per l’attività extra-professionale, con un ruolo nel Consiglio e nella Fondazione dell’Ordine. Come secondo te le istituzioni possono incidere per una rinnovata cultura del progetto?

Sono stato consigliere dell'Ordine degli architetti di Torino per 8 anni, durante i quali ho ricevuto diverse deleghe e sono stato presidente della Fondazione per l'architettura / Torino. Attualmente ricopro ancora il ruolo di consigliere della Fondazione. Voglio essere molto franco: gli Ordini rappresentano la comunità degli architetti e, in questo momento, la percentuale di architetti che si occupa di Architettura (intesa come la disciplina che ha a che vedere con la spazialità, la qualità e l'emozione) è decisamente bassa. Ne consegue che le risorse a disposizione degli Ordini (mentali, economiche, etc.) che vengono impiegate per la cultura del progetto sono residuali. Detto questo è necessario che all'interno di ogni Consiglio sieda qualche anima pia che prenda sulle sue spalle il tema e lo sviluppi. 

Nell’ultima campagna elettorale per gli Architetti di Torino, sei stato in campo con un messaggio: la regina (architettura) è morta, lunga vita alla regina. Quale il senso di questa campagna?
Avevo finito il mio secondo mandato e si stava delineando uno scenario tutt'altro che stimolante, con accordi presi a tavolino e con il tentativo di annullare il dibattito e il confronto. Scrissi un articolo che venne pubblicato sul Giornale di Architettura. Degli amici mi chiesero una mano per formare un gruppo per partecipare alle elezioni. Accettai e l'iniziativa fu un successo. Sono stati eletti in 13 su 15. Il senso della comunicazione fu proprio quello
di darsi una svegliata e di segnalare che per la categoria degli architetti l'unico modo per essere riconoscibili ed indispensabili è quella di produrre Architettura di qualità. 

Progetto per la nuova telecabina ©Studio Ata

Con quali ingredienti?
Per produrre Architettura di qualità c'è bisogno di studio, ricerca, tenacia, ossessione, di una cultura diffusa sull'importanza dell'ambiente costruito e, non ultimo, di una buona mano da parte di chi ci governa. 

La vostra città, Torino, nei prossimi anni. Quale promessa e quali aspettative in termini di “visione” urbana?
Torino è una delle città più straordinarie che esistano. Ha radici profonde nella storia, ha una posizione geografica invidiabile con tutto a disposizione a poche ore di viaggio (monti, mare, laghi e colline), ha atenei di primo livello (si segnala il nuovo progetto dell’Università di Torino per il recupero del patrimonio
) e aziende innovative. La qualità della vita è potenzialmente elevatissima. I dati che è necessario migliorare sono l'occupazione e la qualità dell'aria. In termini di visione urbana serve osare molto di più, avere più coraggio. È in corso di revisione il Prgc che Cagnardi e Gregotti definirono più di 25 anni fa (1995). Alcuni problemi che si devono affrontare sono il calo di popolazione, la mobilità urbana, la possibilità di intervenire più velocemente e più dinamicamente sul costruito. La visione che mi aspetto è quella di una “città laboratorio” che osi molto di più su innovazione urbana, sull'uso temporaneo del costruito e dello spazio pubblico, che sia capace di stimolare, riconoscere e premiare l'innovazione di qualità.

In copertina: telecabina, render di progetto di ©Studio Ata

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Paola Pierotti
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