24-11-2021 Francesca Fradelloni 6 minuti

Cortina 2026, una carta su come progettare con il binomio città e montagna

Partire dalla cultura, dai bisogni della cittadinanza, tenendo legate professioni, università e imprese

Dobbiamo mettere in sinergia per evitare la frammentazione, per legare lo straordinario all’ordinario con la consapevolezza che tutti i territori stanno dentro un progetto condiviso, uno scenario chiaro dove far convergere soluzioni diverse.
Marcello Rossi

Come sviluppare un’economia del territorio, quando si organizzano i grandi eventi? Con quale cura si protegge il bene comune? Quale rapporto tra il patrimonio culturale e il paesaggio urbano (e non solo)? Nel passato recente, molte città hanno utilizzato i grandi eventi per sostenere i propri piani e progetti urbanistici, sviluppare il turismo o migliorare la propria visibilità. Evento voleva dire avere a disposizione soldi e opportunità. Recentemente, soprattutto nel caso delle Olimpiadi si è preferito intervenire nel tessuto urbano e utilizzare strutture già esistenti, rinnovandole o adattandole a nuovi scopi. E per le città storiche e ricche di patrimonio culturale questi interventi rappresentano un’occasione di sviluppo ma, se non ben gestite, anche una potenziale minaccia per il patrimonio.

Ecco che la “Carta per i grandi eventi nelle città ricche di patrimonio” risponde alle sfide emergenti, soprattutto quando si utilizzano o adattano infrastrutture e spazi esistenti già all’interno di contesti storici. Milano e Cortina si apprestano alle Olimpiadi Invernali del 2026, dovendo considerare un territorio di area vasta. Per la programmazione di queste e di altre Olimpiadi, la Carta costituisce un riferimento per discutere il ruolo del patrimonio culturale e del paesaggio, il contributo della pianificazione urbanistica e delle visioni di sviluppo territoriale di lungo periodo. E soprattutto il ruolo dei cittadini.

«I principi riportano degli orientamenti che non solo cercano di risolvere i problemi, ma anche di tematizzarli», racconta Davide Ponzini, professore associato del Politecnico di Milano.

«La ricerca di tre anni che ha portato la creazione della Carta, parte dal caso studio Matera, territorio fragile, ma ricchissimo di cultura. La Carta ovviamente tiene dentro molti altri esempi. Il progetto di ricerca parte da 4 temi, da cui derivano 13 principi e 51 raccomandazioni per fare in modo che le città con grandi patrimoni culturali possano ospitare gli eventi senza mettere in crisi il patrimonio stesso e il territorio», spiega Ponzini. I temi? Il contesto, la governance, l’eredità e le comunità locali. La Charter è stata lanciata a luglio, sottoscritta da città e governi locali in tutto il mondo e presentata nell’ambito dell’ultima edizione di Urbanpromo. Delle Olimpiadi Invernali 2026 e il patrimonio culturale di Milano, traiettorie e rischi, ne hanno parlato Stefano Di Vita, Zachary Jones, Nicole De Togni del Politecnico di Milano.

«Il rapporto ospita una riflessione sui grandi eventi nella traiettoria di cambiamento; lo studio di alcuni esiti di Expo 2015 li abbiamo usati per guardare al 2026. Sui grandi eventi c’è stata una crescita degli investimenti, non senza dissenso. Non dimentichiamoci che le eredità di queste manifestazioni sono molteplici: esiti controversi, percezioni diverse, emergono spesso conflitti tra le narrazioni che accompagnano la costruzione di questi progetti e i risultati finali. Dobbiamo tenerne conto. Questo, abbinato spesso anche a procedure para-emergenziali, apre delle questioni. Una delle riflessioni è sui nessi dei grandi eventi con le politiche di sostegno alla rigenerazione urbana», spiega Stefano Di Vita, ricercatore di architettura e studi urbani del Politecnico di Milano.

Sappiamo tutti che gli eventi sono degli acceleratori, ma ci sono dei rischi anche di disallineamento. «Uno sguardo all’area Expo, il dopo Expo. L’evento è stato un successo, ma oggi la trasformazione dell’area espositiva è ancora in corso. Questo è un elemento di criticità», spiega Di Vita.


Nella nuova agenda olimpica c’è la scala territoriale e l’attenzione all’utilizzo delle risorse già esistenti, al riuso, ma anche la scala è differente, la scelta è quella di spalmare nel territorio.


Quali sono nel caso di Milano-Cortina, le questioni emergenti? «In primis, c’è una specializzazione della governance, l’impressione è che il focus sia sull’efficienza, ma è ancora debole la rappresentazione della legacy di quelli che definiamo i territori intermedi», dice Di Vita. La funzione macro-regionale è una sfida, un elemento inedito, sembra però più la conseguenza di una mediazione politica che un esito di una strategia esplicita, questo potrebbe causare una frammentazione territoriale e amministrativa. Siamo anche in un contesto diverso, la pandemia e la nuova stagione del recovery che si sta sostituendo a quella di austerity, deve essere preso in considerazione. «Fondamentale l’intersezione tra il piano delle Olimpiadi, la legacy e le agende territoriali sulle pianificazioni», precisa Di Vita.

Quindi, le questioni aperte sul patrimonio culturale, sono tante. Se vogliamo volgere il nostro sguardo dall’evento ai territori multipli, si deve riconoscere il valore del patrimonio culturale, anche simbolico. Quindi si deve riconoscere l’esigenza di approfondire alcune politiche di tutela del patrimonio culturale. «Oggi siamo in una fase strategica, nella quale è necessario riuscire a trasportare quelle che sono state le promesse della candidatura in strategie effettive in aree funzionali», spiega Jacopo Mazzetti, di Fondazione Milano Cortina 2026. «Stiamo scrivendo quelle che sono tutte le strategie, anche oltre il 2026. Dobbiamo pensare a quelle che sono le ricadute nel territorio. Fare ciò che rimane per la cittadinanza, fare ciò che manca con la leva delle Olimpiadi», conclude. Pensare anche a quel pezzo di città e di luoghi che stanno ai bordi.  

«Il primo punto è il territorio: mettere al centro il contesto. Lo è anche nei siti olimpici della montagna, penso all’impatto: alla valutazione ambientale e strategica che si è avviata, cioè il lascito. Questo va fatto tenendo insieme questo programma. Poi le opportunità: bisogna ragionare su un’area interna, questa è una dimensione che chiede la necessità di immaginare lo sviluppo di una area “di confine”. Anche ragionando sulle nuove risorse in arrivo dall’Europa», interviene Andrea Arcidiacono, docente del Politecnico di Milano e Istituto nazionale di urbanistica. «Secondo punto: il tema della comunità. L’eredità, il lungo periodo, che cosa rimarrà. Per non ripetere alcuni errori. E guardare ad una prospettiva lunga, per immaginare che questo percorso sia uno sviluppo di questo territorio. Non consumare suolo, guardare ad una dimensione ambientale, attivare delle occasioni di sviluppo per un turismo più sostenibile, più opportuno, attivare le economie locali, chiederci cosa dobbiamo fare per questi luoghi, questa deve essere la legacy», conclude. Ma all’interno del discorso ci deve essere lo spazio per la prospettiva della professione. «Dobbiamo mettere in sinergia per evitare la frammentazione, per legare lo straordinario all’ordinario con la consapevolezza che tutti i territori stanno dentro un progetto condiviso, uno scenario chiaro dove far convergere soluzioni diverse», spiega Marcello Rossi, consigliere nazione degli Architetti italiani.

«L’Expo ci ha insegnato tanto: in termini di velocità e contemporaneità. La professione, gli architetti, all’epoca, erano rimasti fuori dalla partita, gestiva tutto Infrastrutture Lombarde e il Commissario. Per noi è stata però una esperienza importante, soprattutto l’Expo in città, la capacità della città di sfruttare una leva per essere capillare nel territorio. Se penso all’esperienza di Milano, penso a un territorio non simbolico, dal punto di vista culturale, ma che lo è diventato partendo dai territori, reinterpretandoli: parliamo di Nolo, Tortona, Lambrate. Non avevamo Versailles ma avevamo i luoghi dei cittadini e questo ha generato la prima meta turistica mondiale nell’arco di quel periodo», interviene. Un processo di autoconsapevolezza necessario «che deve nascere – spiega Rossi – anche da una cultura della trasparenza, e quella concorso e del progetto di architettura come valore per le città, che deve trovare sulla sua sponda una Pa proattiva, però». Bisogna costruire delle premesse condivise per raccontare e condividere i temi comuni, legati alla montagna e al paesaggio. Bisogna, quindi, parlare di metodi, andare dalle persone, dalle comunità, dalla politica e dagli imprenditori, per una lettura dei bisogni.

In copertina: immagine tratta dal sito milanocortina2026.org

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Francesca Fradelloni
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