13-09-2023 Francesca Fradelloni 4 minuti

Dallo stadio Flaminio al Foro italico, alla Triennale c’è Roma in vetrina

A Milano fari puntati sul Distretto del contemporaneo, un grande laboratorio urbano per la Capitale

Un grande laboratorio urbano, secondo cattedratici e architetti. A Roma il marketing territoriale punta tutto sul distretto del contemporaneo con un nuovo slogan: lo stadio Flaminio come primo stadio d’Europa, gestito dalla commissione europea, un emblema della vocazione universale della Città eterna e porta d’accesso del Continente. Una provocazione del presidente del Maxxi Alessandro Giuli, ma anche una prospettiva accattivante in prossimità dell’anniversario dei trattati di Roma. Lontani dal voler costruire a tavolino la “finzione Roma”, politica, università, istituzioni culturali si sono ritrovate insieme per provare a fare sistema con l’endorsement di Milano, modello fascinoso di una rigenerazione urbana che ha fatto scuola. Un’occasione anche per parlare della strategicità dell’intervento pubblico.


Alla Fondazione Triennale, con la presenza del suo presidente Stefano Boeri, si sono svolte le prove generali della collaborazione pre-Giubileo.


Per presentare le azioni volte a promuovere il grande polo urbano Flaminio, Foro Italico e Farnesina, presenti il diplomatico Umberto Vattani, i professori Rosalia Vittorini, Andrea Bruschi e Fulvio Irace, gli architetti Franco Purini e Piero Ostilio Rossi, l’assessore alla Cultura del Campidoglio Miguel Gotor, il direttore generale per la Diplomazia pubblica e culturale Alessandro De Pedys, il già citato Giuli, l’ad di Fondazione musica per Roma Daniele Pittèri e Nina Bassoli, la curatrice Architettura, rigenerazione urbana, città di Triennale Milano.

Il luogo, questo, dove il progetto è parte del paesaggio e ricuce l’antico e il moderno, dunque l’obiettivo di ripensare a un’area di Roma ricca di viali, spazi alberati, parchi e giardini, dove è presente un consistente nucleo di importanti opere di architettura realizzate sulle due sponde del Tevere dalla prima metà del Novecento ai giorni nostri, è un’aspirazione naturale. Non la riqualificazione di un angolo di Urbe, ma un tentativo di sistematizzare un processo di cambiamento.

Fare squadra sembra essere il diktat della mattinata, perché lanciare un ragionamento rigenerativo sulla memoria recente del nostro Paese non è cosa facile se il tutto parte dalla storia antica e con quella bisogna fare i conti ogni giorno. Ma bisogna anche analizzare i due diversi approcci delle due metropoli, Roma e Milano. Due facce e due latitudini, ma anche due metodi per trasformarsi. Non è un derby per i tifosi di architettura, anche se le radici della partita risalgono a subito dopo l’Unità d’Italia, ma una finestra aperta sul “fare”: il “fare” con i privati e “il “fare” con il pubblico. «Un tempo si diceva, a Roma si disfa e si fa architettura più che in qualsiasi altra parte d’Italia – racconta il professor Irace -. Le cose sono poi andate in modo molto diverso. Milano ha seguito la strada dell’intervento privato, determinante nella trasformazione della città, mentre a Roma (esempio del Foro italico) le grandi presenze architettoniche sono il frutto di una visione organica di un ente pubblico che interviene. Le rivoluzioni costruttive della città più europea d’Italia – continua Irace – sottolineano una sonnolenza pubblica e un iperattivismo privato che oggi fa molto discutere. Oggi con questa iniziativa si intraprende una sfida tra metodi, e ci si avvia a ridare un significato alla parola urbanistica». E senza una visione organica e territoriale non si va da nessuna parte, soprattutto se questa è una scommessa non solo di Roma, ma dell’Italia intera. Dentro la visione, programmazione. «Il distretto del contemporaneo è un vero e proprio ecosistema che da Villa Glori arriva a Monte Mario, attraversando l’ansa del Tevere. – spiega Gotor – È opportuno avere, quando si interviene in una città, uno sguardo grande. Soprattutto quando si ha a che fare con un impianto storico, culturale, architettonico, paesaggistico e fluviale. Un distretto del contemporaneo che si sta già rivitalizzando a Roma Sud. Un fenomeno simile di recupero tra l’area Marconi-Ostiense, con tutte le dovute differenze progettuali e di contesto, che ha avuto come sponda istituzionale Roma Tre. Abbiamo in progetto un restyling dei Mercati generali, interventi al Mattatoio e al Gasometro, un nuovo parco fluviale vicino a Ponte Marconi e tanto altro. – prosegue – Dentro il progetto del contemporaneo ci sono dei progetti specifici. Il più significativo è il Museo della scienza nelle ex Caserme di Guido Reni. Si va a recuperare una vocazione plurisecolare scientifica della città. È vicino al Museo di zoologia e al Bioparco, intorno all’area della Sapienza ci sono ben 17 musei scientifici, tutto questo verrà messo in sinergia con un investimento di 78 milioni di euro con la Cassa depositi e prestiti. Inoltre, per Villa Glori con un investimento previsto di due milioni di euro, grazie ai fondi del Giubileo, ci sarà una riqualificazione delle banchine dell’area delle sponde del Tevere; infine per quanto riguarda il Palazzetto dello Sport di Nervi, lavori quasi al termine e prestissimo verrà restituito all’attività sportiva. In generale quello che mi preme sottolineare è che Roma non può che non cogliere questa sfida, perché Roma non può essere solo una città dell’antico, rivolta al passato. È anche vero che è uno sguardo che rischia essere illusorio quello che invece ne vorrebbe fare una città tout court della contemporaneità, della sfida al grattacielo più alto, perché ci sono delle vocazioni storiche. Da sempre la sfida di Roma è fornire una interpretazione contemporanea dell’antico, la sfida che ogni generazione deve affrontare. Tutto questo va in questa direzione», conclude Gotor. Roma come un testo infinito mai decifrato. «Oggi quello che dobbiamo fare è decifrare la cultura consumistica comunicativa recuperando i luoghi che sono diventati solo fondali e scenari», chiude Purini.

In copertina: Roma, Foro Italico, Palazzo Farnesina © Wikimedia

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Francesca Fradelloni
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