Appalto integrato e progettazione “dimezzata”, alert e prospettive

20-10-2022 Paola Pierotti 9 minuti

Mario Avagnina fa il punto con thebrief sulle riforme attese per architettura, costruzioni e governo del territorio

La legge Merloni, con un atto all’epoca di grande rilevanza culturale, aveva affermato la centralità del “progetto” all’interno del processo attuativo di un intervento pubblico.
Mario Avagnina

Quali compiti e rapporti tra committente, progettista e costruttore? La questione torna di attualità se sotto i riflettori finisce l’ipotesi dell’affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione, un contratto di tipo misto, che è oggetto di una lunga storia e che interseca, fra l’altro, le relazioni tra le tre figure fondamentali nell’iter attuativo di un intervento. La legislazione nazionale, partendo dalla legge Merloni del 1994, ha avuto un atteggiamento oscillante fra il divieto assoluto e l’ammissione di un ricorso a tale istituito più o meno allargato, comunque sempre con limitazioni connesse alle caratteristiche dell’intervento, sia in termini di oggetto, che di contenuto tecnico.

Oggi la questione, molto sentita da tutti gli operatori, ovviamente con diversi intendimenti e attese, rientra fra quelle che dovranno essere affrontate dal Codice dei contratti che è in corso di elaborazione, anche perché una delle riforme che l’Italia si è impegnata a realizzare nel Pnrr è quella che riguarda la “semplificazione in materia di contratti pubblici” che indica fra i suoi obiettivi anche la “revisione della disciplina dell’appalto integrato con riduzione dei divieti”.

Per l’attuazione degli interventi inseriti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e nel Piano nazionale complementare (Pnc) il legislatore ha previsto la possibilità di ricorrere ad un appalto di progettazione ed esecuzione sulla base di un progetto di fattibilità tecnica ed economica (Pfte). Tema sul quale hanno concentrato l’attenzione i professionisti tecnici rivolgendosi al governo che verrà (si legga l’intervista a Franco Fietta, presidente di Fondazione Inarcassa) e questione che già si riflette sulle gare come alcune indette da Agenzia del Demanio. «Questa disposizione, che riguarda un limitato numero di interventi e che è giustificata dalla necessità di rispettare le stringenti scadenze temporali imposte dal Pnrr – spiega Mario Avagnina, esperto del settore e del Consiglio superiore dei Lavori pubblici – coinvolge tematiche di grande attualità in relazione alla riscrittura del Codice dei contratti attualmente in corso, fra cui anche il cosiddetto appalto integrato».

Il Codice vigente, nella sua prima formulazione, vietava l’affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione, tranne casi molto particolari, divieto subito stemperato con il cosiddetto Decreto correttivo, «in cui tale facoltà – commenta Avagnina – è ammessa per lavori in cui la componente tecnologica ed innovativa è nettamente prevalente. Con successive norme (e il riferimento va a Decreto Sbloccantieri e Decreto Semplificazioni 1) il divieto è stato poi congelato sino a giungo 2023 e la definizione di un quadro normativo chiaro e certo in materia è stata quindi rinviata ad una scadenza ormai prossima».

Avagnina, attento osservatore del mercato della progettazione pubblica, con posizioni chiare sull’attesa legge per l’architettura dettaglia gli scenari possibili. «Una possibilità all’esame nella stesura del nuovo Codice dei contratti è quella di ammettere l’appalto integrato in riferimento a vincoli di natura soggettiva, oggettiva ed economica. Il primo vincolo potrebbe essere connesso alla “qualificazione” della stazione appaltante, quale elemento attestante, fra l’altro, capacità commisurate all’intervento da eseguire. Il secondo potrebbe riguardare – come è sempre stato in passato – “l’oggetto” da realizzare. In merito si fa riferimento ad “opere complesse”, una cui definizione è, ad esempio, contenuta nel vigente Codice e in altri atti normativi (decreto BIM). Si tratta di una soluzione – spiega l’architetto – che si pone in linea con la visione che subordina la possibilità del ricorso all’affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione alle caratteristiche soprattutto tecniche dell’intervento. Il terzo vincolo potrebbe essere di natura economica».

Più in generale, la valutazione che assume rilievo è rappresentata dal beneficio che il committente pubblico può trarre, in termini de efficienza, efficacia, economicità, da una soluzione che affida un’attività – la progettazione – ad un soggetto – il costruttore – che, legittimamente, ha finalità che non coincidono necessariamente con quelle del committente. «Bisogna cioè comprendere quale sia il vantaggio del ricorso all’appalto integrato in riferimento all’iter complessivo di un intervento pubblico – spiega Avagnina – tenendo quindi anche conto dell’incidenza di tale soluzione sugli aspetti temporali, economici e di quelli connessi al possibile contenzioso. C’è poi la legittima preoccupazione dei “progettisti” in ordine ad una possibile compressione dell’indipendenza professionale. Ancora – si interroga – esaminando la questione dal punto di vista della committenza, la finalità è quella di valorizzare l’esperienza del costruttore o quella di velocizzare il procedimento attuativo di un intervento? In riferimento al primo aspetto, non va dimenticato che tale possibilità è già insita nell’aggiudicazione in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa tramite la quale è possibile valutare le cosiddette “migliorie” proposte dall’offerente; in merito al secondo aspetto va evidenziato che, se il procedimento si riduce di una fase – cosa che avviene solo se la prima fase della progettazione è realizzata all’interno della stazione appaltante – le procedure di verifica e validazione potrebbero essere più lunghe. Incerta è poi la riduzione effettiva del contenzioso legato ad aspetti progettuali».


Necessario capire quali benefici possano arrivare al committente pubblico in termini di efficienza, efficacia, economicità affidando l'attività ad un soggetto che ha finalità diverse.


La valutazione dell’utilità del ricorso a tale procedura deve inoltre essere fatta anche in relazione all’organizzazione in fasi della progettazione. Una cosa è appaltare su un progetto definitivo – come avviene oggi per un appalto integrato – altra cosa è appaltare su di un Pfte, caratterizzato da un livello di definizione progettuale inferiore.

Oltre al ricorso dell’appalto integrato, un'altra novità riguarda appunto la semplificazione delle fasi di progettazione in due fasi. In cosa consiste la proposta e quali le finalità?

«Una delle altre novità del Codice dei contratti in corso di elaborazione è quella rappresentata dalla proposta di ridurre le fasi di progettazione da tre, come previsto vigente normativa, a due. Si tratta della traduzione in norma di una indicazione in tal senso contenuta nella delega al Governo in materia di contratti pubblici».

La legge Merloni, «con un atto all’epoca di grande rilevanza culturale» commenta Avagnina, aveva affermato la centralità del “progetto” all’interno del processo attuativo di un intervento pubblico. La progettazione, prima prevista in due fasi (progetto di massima e progetto esecutivo), veniva articolata in tre fasi (progetto preliminare, definitivo ed esecutivo), delle quali quella centrale era anche quella deputata all’acquisizione di tutti gli atti di assenso necessari alla realizzazione dell’opera.

«Veniva così delineato un percorso che – racconta – con successivi gradi di affinamento, consentiva di giungere alla fase finale (il progetto esecutivo) sulla quale appaltare l’opera, percorso in uso ancora oggi». La legge Merloni prevedeva, come ribadito, l’appalto dei lavori sulla base di un progetto esecutivo e il ricorso affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione (concorso appalto) solo in casi ben circoscritti. «La scomparsa di una fase progettuale rappresenta, quindi, un’innovazione di non poco conto, che se non ben gestita potrebbe non produrre gli effetti desiderati per la committenza pubblica e per la collettività. In sé – spiega nel dettaglio Avagnina – la riduzione delle fasi progettuali da tre a due non costituisce potenzialmente una criticità, a condizione che lo sviluppo progettuale sia seguito da un unico soggetto e una volta risolti i problemi connessi agli aspetti autorizzativi. Certo la prima fase (Pfte) deve essere caratterizzata da un alto livello di conoscenza del contesto ed incorporare parte delle scelte tipiche del progetto definitivo. Questa necessità diviene imperativa se si vuole ricorre all’appalto integrato».

È proprio questo l’intento posto a base delle Linee guida che sono state elaborate, nel luglio 2021, dal Consiglio superiore dei lavori pubblici per l’elaborazione dei Pfte dei progetti del Pnrr e del Pnc. Se si vuole appaltare su di un Pfte è necessario che questo contenga tutti gli elementi necessari, non solo di conoscenza del contesto, ma soprattutto prestazionali ed economici, che consentano di soddisfare, nel modo migliore, le esigenze del committente, nel rispetto di tempi e con costi certi. «È questo il lavoro che, secondo me, dovrà essere fatto nella definizione dei contenuti del primo livello della progettazione degli interventi disciplinati dal futuro Codice, cercando di mutuare gli aspetti positivi, anche di natura procedurale, dall’esperienza maturata in relazione ai progetti del Pnrr e Pnc».

Legge dell’architettura, riforma del governo del territorio da dove partire e quali le occasioni da non mancare? Priorità per il nuovo governo? I temi sono veramente così numerosi ed urgenti che è difficile metterli in ordine di priorità. Avagnina, dal suo osservatorio stila un primo elenco: «bisogna risolvere il vuoto normativo che si è venuto a creare fra il vigente Codice dei contratti ed i conseguenti atti di normazione secondaria. Il nuovo Codice, qualsiasi siano i suoi contenuti, deve essere emanato in concomitanza con gli atti o l’atto di normazione secondaria che ne consentano l’applicazione e deve contenere una chiara disciplina del transitorio».

Deve essere poi portato a termine l’annoso processo di emanazione di una norma concernente il “governo del territorio” che sostituisca la legge 1150 del 1942. «Si tratta di una materia delicata, perché di competenza concorrente, nei confronti della quale le Regioni hanno ampiamente legiferato, creando disomogeneità che potrebbero essere limitate o eliminate, se inquadrate in un insieme aggiornato di “principi” definiti dallo Stato. Sempre in tema di “principi” di rango nazionale – spiega – un tema di grande attualità e legato a quello del “governo del territorio”, è rappresentato dalla revisione del Testo unico sull’edilizia (DPR 380/2001) che è stato oggetto di numerose modifiche e integrazioni, soprattutto per quanto concerne i titoli abilitativi, ma che deve essere completamente riscritto, anche in riferimento all’oggetto, che deve passare dalla “edilizia” alle “costruzioni”, risolvendo, così, i numerosi problemi applicativi che si sono creati nel tempo. In tal senso un Gruppo di lavoro istituito presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, rappresentativo di tutti i soggetti interessati, ha prodotto, circa due anni fa, una proposta di testo che è stata trasmessa al Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili».

Da ultimo, ma non meno importante, rimane la “Legge sull’architettura” o “Legge sulla qualità architettonica”, in relazione alla quale sono stati emanati, a partire dal 1999 (qui la timeline ricostruita da PPAN ndr) numerosi disegni di legge o proposte degli ordini professionali. Si tratta di un adempimento normativo necessario che deve essere coordinato, per quanto attiene l’importante tema dei “concorsi di architettura”, con il Codice dei contratti, cercando di promuovere il ricorso a tale procedura, soprattutto in relazione ad alcuni tipi di intervento in cui è importante scegliere il “progetto” e non solo il “progettista”».

Foto di copertina © Harri Vick

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Paola Pierotti
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