10-12-2015 Paola Pierotti 7 minuti

Dba Group, Harpaceas, Ird Engineering, Crew: come l’ingegneria italiana va all’estero

I driver: management, diversificazione delle competenze, digitalizzazione, competenza e internazionalizzazione

"Quando si deve erogare un servizio, le alleanze funzionano male. Bisogna crescere internamente. La taglia giusta per una società di ingegneria italiana dovrebbe essere quella di un fatturato intorno ai 250 milioni"

Raffaele De Bettin

Organizzazione interna, diversificazione delle competenze, digitalizzazione del processo (non solo Bim), valorizzazione del saper fare italiano e internazionalizzazione. Sono questi i driver da seguire per le società di ingegneria italiane. In occasione della presentazione del Report 2015 on the Italian Architecture and Engineering Industry, curato da Aldo Norsa e allegato a Edilizia e Territorio n. 46, è stato organizzato un incontro-dibattito raccogliendo le testimonianze dei protagonisti del made in Italy.

Dba Group Tra le storie italiane che si distinguono c’è quella di quattro azionisti e imprenditori, i fratelli De Bettin, Francesco e Raffaele ingegneri e Stefano e Daniele architetti, fondatori della DB Holding, tuttora attivi nella conduzione e gestione del gruppo che si sta distinguendo tra le società di ingegneria più innovative. Raffaele De Bettin, presidente di Dba Group ha portato l’esperienza di una società familiare che recentemente ha deciso di diversificare le proprie attività includendo anche quella del project management. “Ora diamo servizi di Pm paragonabili a quelli di ingegneria, abbiamo sviluppato piattaforme IT dedicate, e tutte le nostre attività ora – spiega De Bettin – sono associate ai nuovi strumenti informatici e le forniamo al cliente come prodotto”.
Nonostante negli ultimi anni il fatturato in Italia sia sceso del 20% Dba racconta come, “faticando”, il gruppo sia riuscito a mantenere costante il proprio bilancio conquistando commesse all’estero, anche con una redditività inferiore. L’estero è una necessità e un’opportunità ma sono in molti a dubitare sull’efficacia di consorzi e reti di impresa. “Quando poi si deve erogare un servizio, le alleanze funzionano male. Bisogna crescere internamente” sostiene Dba Group ricordando che in Italia ci sono solo quattro società di ingegneria con un fatturato che supera i 100milioni di euro. “La taglia giusta per una società di ingegneria italiana – spiega De Bettin – dovrebbe essere intorno ai 250 milioni, per poterci confrontare con i concorrenti internazionali”. Crescendo si ha anche la possibilità di fare shopping di altre società e Dba lo conferma annunciando di aver appena acquisito una società slovena che fattura 12 milioni di euro, specializzata in IT per logistica portuale e trasporti.

De Bettin si è appena aggiudicato anche il primo premio per un concorso internazionale a Varese per Piazza della Repubblica e l'ex caserma, vinto in partnership con lo studio di Mauro Galantino, con cui Dba sta lavorando in modo strategico per affrontare il modo mirato anche il mercato dell'architettura.

Su “Come realizzare un gruppo diversificato e internazionalizzarlo” si sono confrontati Francesca Federzoni di Politecnica, Luca Ferrari di Harpaceas, Walter Fabio Filippetti di Cooprogetti e Paolo Orsini, fondatore e managing director di Ird Engineering che ha raccontato la sua esperienza di come, partendo dall’estero, ci si possa affermare come referenti del sistema Italia.

Harpaceas “Harpaceas è una società che da oltre 25 anni opera nel settore dell’informatica, siamo la cinghia di trasmissione tra il settore delle costruzioni e quello dell’IT – spiega Luca Ferrari – e nella nostra azienda oggi ci sono una quarantina di collaboratori, molti dei quali sono architetti e ingegneri, trasportisti, strutturisti e impiantisti. Non siamo un software house ma accompagniamo i nostri clienti nell’adozione di metodologie idonee al contesto in cui operano, per ottenere il massimo dalle tecnologie”. Dalle società di progettazione arriva anche un chiaro messaggio nei confronti della campagna pro-Bim ormai condivisa in tutto il Paese, oggetto di corsi, master e seminari e annunciata come ‘medicina’ per ridurre tempi e errori. “Bisogna concentrare l’attenzione sul tema della digitalizzazione delle commesse più che sull’acronimo Bim che non include una serie di processi fondamentali. Non si compra né il Bim né la digitalizzazione, le aziende devono prima ripensare i processi e poi decidere di quali tecnologie informatiche hanno bisogno” spiega chiaramente Ferrari che è anche vice-presidente di Building Smart Italia.

Tesi sostenuta anche dal mondo dell'architettura e raccontata da Patricia Viel di Citterio-Viel & Partners che ormai da sei anni ha scelto la strada del Bim e oggi processa così l'85% del fatturato.

Politecnica All’estero è da tempo impegnata anche la società cooperativa Politecnica, “nata con il pallino della progettazione integrata – spiega Francesca Federzoni – siamo stati cresciuti da piccoli pensando alla diversificazione, e per raggiungere questo obiettivo abbiamo cercato di coinvolgere i migliori talenti. Recentemente abbiamo anche coinvolto degli associati stranieri”. Politecnica ribadisce che, nonostante l’interesse per l’estero, la società è cauta e misurata e rimane più professionale e meno imprenditoriale: “ci concentriamo sulla qualità del prodotto di ingegneria o architettura, magari su temi sui cui siamo più forti, dal recupero agli ospedali per fare due esempi, cerchiamo di mettere a fattor comune la dimensione, senza rinunciare però al nostro lato artigianale”.

Cooprogetti “Preferisco avere partner che dipendenti – ha dichiarato Walter Fabio Filippetti di Cooprogetti – e improntiamo così il nostro sviluppo all’estero dove approdiamo spesso grazie alle imprese e sul posto conosciamo partner-professionisti. Abbiamo già creato filiali in Cile, Argentina, Turchia e Algeria e ci sono altre società che si appoggiano a noi per fare rete”.
Non sono solo le grandi città a mettere in moto le macchine più potenti. Come Dba Group è partita dal Veneto, dall’alto Cadore, Cooprogetti ha la sua sede principale a Gubbio, e da lì ha fatto strada superando i 10 milioni di fatturato all’anno, “dimensione ridicola se ci si confronta con il mondo – commenta Filippetti – ma siamo consapevoli che se ci associamo con altri riusciamo ad entrare in grandi operazioni tipo la gara con il sistema ferroviario argentino alla quale stiamo partecipando e dove, non potendo vendere una straordinaria dimensione, abbiamo messo in campo competenze”.

Ird Engineering Paolo Orsini di Ird Engineering ha intrapreso la sua strada concentrandosi sul settore delle infrastrutture all’estero, a partire dall’area balcanica. “All’inizio, senza fatturati e referenze non è stato facile e la sola via – racconta Paolo Orsini – era quella di associarsi a società più grandi. Abbiamo iniziato con delle jv e via via è cresciuto il nostro fatturato e abbiamo potuto partecipare in modo autonomo”. Dai Balcani all’Asia dell’Est al Nord Africa, con contratti finanziati dalla Bei, dalla Nato e dall’Ue: è questo il percorso della Ird Engineering che recentemente si è riaffacciata sul mercato interno e collabora tra gli altri con Italferr, Spea e Politecnica.
“Stando in Italia è difficile gestire i rapporti all’estero. Se non ci si fa vedere e non si ha un rapporto costante con i clienti è veramente complicato farcela”. Paolo Orsini è schietto: “Abbiamo una squadra di giovani ingegneri molto motivati e ogni volta che portiamo a casa un contratto condividiamo la soddisfazione con tutto lo staff delle diverse sedi. Ancora, all’estero bisogna starci: non basta mandare una brochure o avvalersi di un referente locale che magari ha altre dieci società nel portafoglio”.

Le società italiane vanno all’estero ma sono ormai numerose anche le filiali delle multinazionali insediate in Italia da Mwh a Bim Team, da Autodesk a Honeywell a Artelia Italia. Quest’ultima ha 90 uffici in tutto il mondo e un fatturato di 264 milioni, in Italia conta due sedi 250 dipendenti con un fatturato dell’ordine dei 27-28 milioni di euro.

Crew All’estero è ormai decollato anche Lamberto Cremonesi con Crew: trent’anni di attività e 60 dipendenti di 5 nazionalità. “Nel nostro studio si parlano 5 lingue – dice orgoglioso Cremonesi – e se oggi siamo in 60 lo dobbiamo al lavoro fatto negli ultimi 3 anni con un fatturato cresciuto l’anno scorso del 110%. Quest’anno pensiamo di poter fare altrettanto. All’inizio siamo andati all’estero seguendo i grandi contractor, come Salini e Impregilo, e ora stiamo lavorando per la metro di Ryad e abbiamo 3 contratti importanti in Arabia. Abbiamo stretto jv con grandi società di progettazione internazionale e facendo alleanze anche con costruttori non italiani”. Su cosa fate la differenza? “Sull’approccio olistico alla progettazione: non frazioniamo tutti gli specialismi. Inoltre – dice Cremonesi – grazie alla nostra dimensione diamo al cliente riferimenti costanti”. Crew ha iniziato la sua scalata grazie alla metropolitana di Brescia dove ha lavorato per Astaldi. Quest'ultimo cha coinvolto la società bresciana per la linea 4 della metro do Milano e lì Crew ha conosciuto Impregilo che l’ha voluto in squadra a Ryad e Doha. Una crescita per tappe con il traino giusto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Paola Pierotti
Articoli Correlati
  • Con la Milano Design Week volano i prezzi degli affitti brevi

  • Diversificazione, industrializzazione dei processi e organizzazione. Chi è Dba Group

  • A Milano una high line come a New York, il futuro secondo FS Sistemi Urbani

  • Castel Sant’Angelo avrà il sottopasso: lavori del Giubileo al via ad agosto