27-10-2016 2 minuti

Le cartoline dell’estate londinese: Serpentine Pavilion e Tate Modern

Luc Boegly e Sergio Grazia, matrimonio felice tra fotografia e architettura

"La fotografia d'architettura non può più accontentarsi di essere puramente formale ma è necessario che traduca anche gli aspetti politici e sociali intrinsechi all'architettura"

Sergio Grazia

Documentazione e interpretazione. Così viene percepita da Luc Boegly e Sergio Grazia la fotografia d’architettura contemporanea. Con le immagini delle Serpentine Galleries – tra cui il progetto Serpentine Pavilion dello studio Big – dell'Energy Pavilion all'interno della rassegna Archtriumph e della nuova Tate Modern firmata dagli svizzeri Herzog & de Meuron, i due fotografi hanno scattato le cartoline del contemporaneo dell’ultima estate.
Luc, fotografo classe 1962, nasce a Strasburgo e si forma all’Istituto Nazionale Superiore Louis Lumière di Parigi. Sergio, architetto, nasce invece a Genova nel 1973 e dal 2010 inizia a collaborare con le sue immagini con diversi studi di architettura parigini. 

Un matrimonio felice tra architettura e fotografia. Qualche anno fa i percorsi dei due professionisti si incrociano e nasce una prima collaborazione che parte con alcuni progetti di livello internazionale con l’obiettivo di produrre un lavoro comune con il valore aggiunto della sintesi delle loro competenze. 

“Al giorno d'oggi la fotografia d'architettura non può più accontentarsi di essere puramente formale ma è necessario che traduca anche gli aspetti politici e sociali intrinsechi all'architettura” spiega Sergio Grazia. La relazione tra opere e uomo all’interno di uno scatto fa comprendere l’atmosfera di un luogo, secondo il professionista genovese. “L'inserimento dei personaggi nelle immagini permette di esprimere come gli ambienti siano utilizzati e vissuti, e di indagare sul rapporto intimo che lo spazio e i fenomeni urbani instaurino con l'essere umano. All'improvviso una storia si crea, ed è anche grazie alle persone che l'immagine acquisisce un livello di narrazione supplementare”. 

Fotografia come documento o interpretazione? “L’oggettività nella fotografia non esiste – sostiene Grazia -. Ogni scatto è un atto volontario e parziale, scaturito dallo sguardo personale dei suoi autori. Il compito dell'autore è proprio quello di fare delle scelte che permettano di esprimere un punto di vista su un edificio, dall’inquadratura all’obiettivo utilizzato. Questa narrazione non esclude però la preoccupazione della documentazione.
Producendo un corpus di immagini, il fotografo d'architettura finisce per creare un nuovo oggetto di ricerca che sarà differente dall'edificio stesso”.

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