01-06-2021 Chiara Brivio 2 minuti

Luoghi di produzione e comunità urbane, il focus della Serbia alla Biennale di Venezia

La storia dei cambiamenti urbani nella cittadina di Bor, centro estrattivo che sta diventando di proprietà cinese

Attraverso l’esposizione di oggetti e rappresentazioni multimediali, l’allestimento cerca di guidare i visitatori nell’esplorazione della tensione esistente tra la miniera e il tessuto urbano, oltre allo stato attuale del rapporto tra vita e lavoro.

Come interpretare il rapporto che c’è tra uomo e lavoro? E come può l’architettura esprimere questa relazione, soprattutto se pensata a livello urbano? Quanto la struttura di una città può essere legata al suo apparato produttivo, nonché alla creazione di comunità? E quali le sue trasformazioni nel tempo?

A queste e altre domande cerca di rispondere la mostra presentata al Padiglione della Serbia alla 17. Mostra di Architettura di Venezia. Attraverso l’esplorazione dei cambiamenti urbani della cittadina di Bor, nell’est del Paese, importante centro estrattivo fondato all’inizio del ‘900 ma diventato ancor più importante nel secondo Dopoguerra, la mostra porta i visitatori ad interrogarsi «sul rapporto tra la base materiale di sviluppo e la struttura fisica delle città, che apre indirettamente la domanda sulla variabilità strutturale della popolazione cittadina», come scrivono MuBGD, gli 8 architetti selezionati per partecipare alla kermesse veneziana.

“8th kilometer” (L’ottavo chilometro), questo il titolo dell’allestimento,  non solo il rapporto qualità della vita-lavoro che riguarda quindi un livello interno, ma anche il fatto che nel 2019 il bacino minerario (Rtb Bor) sia diventato di proprietà della cinese Zijin Mining Group e inserito quindi nel monumentale progetto di sviluppo geografico, politico ed economico cinese della Nuova Via della Seta – che in Italia coinvolgerà il porto di Trieste – e che riporterà Bor al centro di una rete economica globale, dopo di anni di declino dovuto alla chiusura della miniera di rame.

Un ritorno sulla scena che si innesta anche nella linea del tempo che porta dal passato, con i 7 chilometri di strutture preesistenti che nella mostra si sviluppano in altrettanti temi, e il futuro con l’ottavo chilometro, emblema del padiglione, che sarà «una nuova base e un nuovo modo di produzione della città». Nella proposta degli architetti serbi, che parte dall’annuncio della costruzione di un nuovo quartiere che dovrà ospitare i nuovi “lavorati” immigrati e non del Rtb Bor, questo ottavo chilometro dovrà però distaccarsi dal passato industriale del luogo, per creare una nuova comunità urbana alternativa, più sostenibile e resiliente rispetto al passato, dove sarà privilegiato l’abitare comune, il vivere insieme, l’ozio rispetto alla costrizione della produzione industriale. Un ozio del quale, paradossalmente, Bor è stata finora privata, essendo stata privata proprio di quel lavoro che ne fa da contraltare.

Attraverso l’esposizione di oggetti e rappresentazioni multimediali, l’allestimento cerca di guidare i visitatori nell’esplorazione della tensione esistente tra la miniera e il tessuto urbano, oltre allo stato attuale del rapporto tra vita e lavoro.

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Chiara Brivio
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