07-06-2023 Chiara Brivio 3 minuti

Agroarchitettura, cibo e sfruttamento. Alla Biennale va in scena Foodscapes

Il padiglione spagnolo è sul futuro dei modelli produttivi. Nei “Progetti speciali del curatore” il tema è la terra

Il cibo come fonte di vita e sostentamento, ma anche come grande incognita del futuro. Se da una parte si parla di 345 milioni di persone che nel mondo non hanno accesso a cibo nutriente a sufficienza (secondo Save the Childen), nei paesi occidentali è invece il tema dei rifiuti e dello spreco alimentare a tenere banco. Solo in Italia, secondo i dati del Wwf, nel 2022 ogni persona ha gettato l’equivalente di 27 chilogrammi di cibo, per un totale di 6,5 miliardi di euro. Cifre importanti che rendono l’idea delle disuguaglianze e delle iniquità presenti a livello globale, alle quali si vanno ad aggiungere gli effetti della crisi climatica nelle aree più povere del mondo. Proprio su questi temi hanno deciso di concentrarsi Eduardo Castillo-Vinuesa e Manuel Ocaña, i due curatori del Padiglione della Spagna alla Biennale di architettura in corso a Venezia. Dal titolo Foodscapes. Mangiando, digeriamo territori, la mostra vuole essere «un viaggio attraverso le architetture che nutrono il mondo, che incalza i visitatori a intraprendere un percorso a ritroso, dal nostro piatto agli scaffali del supermercato, alla strada in cui è stato trasportato il cibo che mangiamo, alle persone che lo hanno raccolto, fino alle serre di produzione».


Un lavoro corale che ha coinvolto oltre venti tra architetti, artisti, registi e ricercatori e che ha visto la produzione di cinque cortometraggi, un archivio sottoforma di ricettario e una piattaforma di ricerca aperta.


Riflettere dunque, ma anche studiare e approfondire l’impatto che la produzione di cibo ha sul nostro pianeta dal punto di vista energetico a partire dal caso studio della Spagna, uno dei maggiori paesi agricoli di tutta Europa, che di rimando implica anche una riflessione sullo sfruttamento delle persone che lavorano in questi campi. Per i curatori quindi «in un momento storico in cui i dibattiti sull’energia sono più che mai urgenti, il cibo rimane in secondo piano. Eppure, il modo in cui lo produciamo, distribuiamo e consumiamo mobilita le nostre società, modella le nostre metropoli e trasforma le nostre geografie più radicalmente di qualsiasi altra fonte di energia». Un contesto che Castillo-Vinuesa e Ocaña definiscono “agroarchitettonico” e che coinvolge la progettazione: tanto gli impianti di produzione a livello macro, quanto le cucine delle nostre case a livello micro. Allo stesso modo, per esempio, il paesaggio di Almeria, nell’Andalusia, diventa il modello dei processi di terraformazioni e trasformazione operati durante il regime di Francisco Franco. «L’architettura dei “villaggi di colonizzazione” e i progetti infrastrutturali realizzati all’epoca – si legge nella descrizione del corto – avevano lo scopo di trasformare i corpi in lavoratori e i paesaggi in risorse da sfruttare. Questa mentalità perdura ancora oggi, come dimostra la rete di serre che si estende per centinaia di chilometri e che produce il cibo che ci sostiene: pomodori, zucchine, peperoni e angurie». Immagini di geografie produttive che coinvolgono «una complessa interazione di corpi – territoriali, umani, animali e meccanici – ognuno dei quali fa la sua parte in una danza sfaccettata e interscalare».

Un percorso, quello della mostra, che a partire dall’analisi della logistica, dell’urbanistica e della pianificazione architettonica di ciò che è stato, esplora quelli che in futuro potranno essere nuovi modelli produttivi meno impattanti sul pianeta. Un modo particolare in cui il padiglione iberico ai Giardini ha voluto rispondere alla linea dettata dalla curatrice Lesley Lokko per questa edizione della Biennale, Il laboratorio del futuro, che esplora i due filoni della decolonizzazione e della decarbonizzazione, in modo forse originale e poco ‘architettonico’ e più con un occhio alla produzione artistica e cinematografica.

Ma il tema del cibo ritorna anche in un’altra sezione della 18esima mostra a Venezia: quella dei Progetti speciali del curatore, che ha invitato tre practicioners – gli irlandesi di BothAnd Group, la congolese Gloria Pavita e l’angolana Margarida Waco – a riflettere su “Cibo, agricoltura e cambiamento climatico”. Lavori che, più di ogni altro, si concentrano sull’analisi del “suolo” e della terra come fonte di vita, ma anche come oggetto di sfruttamento e di colonizzazione.

In copertina: Foodscapes, padiglione della Spagna. Ph. ©Claudio Franzini

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chiara Brivio
Articoli Correlati
  • Il curatore della Biennale Architettura 2025 sarà Carlo Ratti

  • Immaginario indigeno, alla Biennale di architettura Sudamerica in trincea

  • Tra sogno e cambiamento. Viaggio tra le storie della Biennale Architettura 2023

  • Precari e senza diritti. Alla Biennale la denuncia degli architetti cechi