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17-06-22   I   Paola Pierotti | Lettura : 5 Minuti

Maran e Fuksas: personaggi e città visibili

Fare urbanistica è organizzare il territorio e distribuire opportunità
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e città visibili. Dove inizia il cambiamento del Paese. Parte dal titolo del nuovo libro scritto da Pierfrancesco Maran, assessore alla Casa del Comune di Milano – che nella precedente amministrazione è stato assessore alla Mobilità e all’Urbanistica – un dialogo con Massimiliano Fuksas sul futuro delle città, sul dna della classe politica, sulle regole, sulla capacità dei piani di essere flessibili per poter cogliere le opportunità. Il riferimento è l’Europa e la sfida è quella di capire come si possono progettare e costruire città sostenibili, più giuste e più belle.

Ospite alla Casa dell’architettura di Roma, in occasione del festival dell’architettura, Maran ha ricordato che «Roma è per Milano la prima città con cui ci si confronta, non ci sono caratteristiche omogene, ma nella categoria “città”, per numero di abitanti, ci sono solo Roma, Milano e Napoli». Nessun accenno ad un’idea diffusa di un “modello milanese” da importare. «Pensavo di scrivere un saggio sulle città – racconta – poi ho pensato fosse utile raccontare la mia esperienza considerando quello che sta accadendo nelle città e nelle persone, con riferimenti ai loro desideri e alle loro priorità. La pandemia è stato un momento di cambiamento importante in termini di valori – continua Maran – siamo usciti da un decennio effervescente per Milano: nella primavera del 2015 che stava per ospitare Expo, tutto ha iniziato ad andare bene, e quello è stato il frutto di una semina durata anni». Non è questione di miracoli.

Da Milano, i milanesi fuggivano per il weekend, ad un certo punto Milano è stata riconosciuta anche come una bella città. «Ci devi lavorare tanto, per misurare i risultati a valle». Alla platea romana Maran riepiloga a titolo di esempio l’operazione Scali Milano: l’ultima giunta Pisapia, preelettorale, aveva bloccato la firma dell’accordo di programma; la giunta successiva guidata da Beppe Sala ha ripreso in mano il tema, con metodo e determinazione, con un percorso di ascolto e partecipazione, arrivando alla sottoscrizione dell’accordo per la riqualificazione dei sette scali. Non solo guardando ai numeri, agli indici, ma prefigurando delle visioni possibili, investendo su un’idea di città con un mix di funzioni, integrando ad esempio case per il mercato libero con altre a canone agevolato. Si è preparato il terreno per poter arrivare senza varianti, ad esempio, ad ospitare a Porta Romana il villaggio olimpico, con una rapida riconversione a seguire.

Il Covid ha posto nuove domande. Nuovi elementi sono entrati in gioco. Da qui la sfida «di continuare a costruire la città con obiettivi e tempi diversi, riscoprendo ad esempio il tema degli spazi pedonali, con la svolta ciclabile, gestendo il tema dell’uso dello spazio pubblico con i dehors».

La ricetta di Maran? Bisogna sempre inventarsi qualcosa di nuovo. Non stare fermi. La città è un luogo in movimento, è lo spazio della sperimentazione, va coltivato il senso della libertà.

La lezione milanese non è quella di un “modello” da copiare, come si pensa di fare ad esempio con l’idea della città della prossimità da Parigi alle altre città di varia dimensione e caratteristiche.

Milano ha scelto degli ingredienti capaci di fare città. E tra gli altri c’è quello della cultura, come motore della rigenerazione. «Distribuire sul territorio un’infrastruttura culturale diffusa è un’opportunità unica per la rigenerazione urbana. Fare urbanistica – racconta Maran – non significa rilasciare permessi per costruire case, ma organizzare il territorio e distribuire opportunità. In tanti quartieri periferici di Milano la cultura ha trovato casa: il conservatorio da San Babila aprirà un campus a Rogoredo, la Scala ha appena aggiudicato un concorso per realizzare la sua fabbrica oltre Lambrate, ancora l’accademia di Brera compatterà i suoi spazi allo scalo Farini».

Fuksas rilegge questa storia concentrando l’attenzione sulla carriera di Pierfrancesco Maran: «a Roma gli amministratori di volta in volta si vanno a cercare, a Milano li fabbricano con calma e nel tempo» con chiaro riferimento al percorso fatto dal giovane assessore, «un servitore dello Stato e della comunità» che in 20 anni di politica e amministrazione pubblica è arrivato ad occuparsi oggi di una delle questioni più spinose: la casa.

Il futuro delle città, sotto la lente di Maran e Fuksas è da costruire integrando ambiente e comunità. E per Fuksas la lezione milanese si traduce nel fatto che «la politica ha saputo trasformare gli imprenditori». Maran aggiunge che c’è in corso un grande investimento «per promuovere un cambio generazionale dentro l’amministrazione».

Fuksas cita la sua esperienza milanese, «partita dalla periferia, nel 2003, quando ho progettato la Fiera di Rho Pero, costruita miracolosamente in 26 mesi. Non conoscevo nulla di Milano – commenta l’architetto romano, e cita “Malagrotta” per un’analogia con la capitale, al centro delle cronache in questi giorni –. L’area della fiera è stata bonificata, sono stati piantati tanti alberi, ci si è presi cura di quel programma di trasformazione, che era già di forestazione urbana: non serve piantare un milione di alberi – aggiunge – bisogna saper sostituire quelli che ci sono».

Se sul tema scuola si chiede una legge per l’edilizia scolastica spostandosi dalle città al Paese, per quanto riguarda l’abitare, sembra sia giunto il momento per un ministero che si occupi di una questione nodale com’è la casa, «le istituzioni dovrebbero collaborare in questa direzione – dice Maran – è una questione di diritto poter acquistare una casa ad un prezzo ragionevole, servirebbe una politica organica». Il tema è caldo e intreccia il dibattito sul governo del territorio, sulle politiche industriali dei grandi player, sui valori delle aree, sulla sperimentazione di nuove forme di partnership tra pubblico e privato.

In copertina: la cover del libro "Le città visibili. Dove inizia il cambiamento del Paese" di Pierfrancesco Maran

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Paola Pierotti

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