Michele Leone su COP21. Da fisico, racconta la sua storia in difesa del climate change
Italiano all’estero, dall’Africa si occupa di design, sviluppo e management di progetti internazionali per un istituto di ricerca canadese
"Entro il 2050, il 40% dei giovani nel mondo vivrà in Africa: è fondamentale quindi che si creino alleanze tra città nel nord e sud del mondo per trasferire e applicare modelli di pianificazione urbana innovativi"
Michele Leone è un fisico dei sistemi complessi, classe 1974, laureato a Torino, con un dottorato a Trieste sui modelli matematici applicati al funzionamento di sistemi complessi in biologia, economia e funzionamento degli ecosistemi naturali. Leone è uno dei tanti italiani all’estero, lavora per l’International Development Research Centre (IDRC) come Senior Program Specialist nell’ufficio regionale di Nairobi in Kenya, dove vive con la moglie e i due figli di 4 e 7 anni. Leone ha partecipato ai lavori di COP21 e racconta in presa diretta per PPAN il suo contributo, dopo le interviste rilasciate da Norbert Lantschner e Gianni Silvestrini.
Sul tuo profilo Facebook hai condiviso la notizia che le stazioni della RER B di Parigi, erano tappezzate di equazioni matematiche che dovevano essere quelle usate nei modelli climatici che cercano di simulare possibili traiettorie per il clima del futuro. "Bella idea, ma erano sbagliate", cosa significa?
Era un’iniziativa promozionale degli organizzatori della COP21 ma, molto semplicemente, le equazioni scritte sui muri erano sbagliate. È come se avessero scritto un testo pieno di errori di ortografia e sintassi. Gli organizzatori avrebbero potuto prendersi la briga di copiare le equazioni corrette da un qualsiasi libro di testo o articolo scientifico. Un esempio di analfabetismo matematico non privo di conseguenze più serie e che il nostro sistema educativo, in Francia come in Italia, dovrebbe cercare di correggere.
Leone ha partecipato ai lavori di COP21 per comunicare i risultati della ricerca sostenuta dall’IDRC nel campo dell’adattamento ai cambiamenti climatici negli ultimi 10 anni, cos’è e cosa fa questo istituto?
Da cinque anni io lavoro per questa organizzazione di punta del governo canadese dedicata al finanziamento e al supporto di progetti di ricerca applicata allo sviluppo sostenibile in Africa, Asia e America del Sud. Si tratta di iniziative guidate da ricercatori locali, che noi sosteniamo non solo finanziariamente, ma anche aumentando le occasioni per rafforzare il peso della loro voce nei forum internazionali – come l’IPCC (International Panel for Climate Change) – o partecipando a processi di policy making e ancora implementando politiche locali centrate sui cittadini e le comunità più vulnerabili. Ecco perchè eravamo a Parigi.
Nel campo dell’adattamento ai cambiamenti climatici quanti e quali progetti avete finanziato?
Finora circa 150 progetti di ricerca applicata e al sostegno di processi di decision making, per un totale di quasi 200 milioni di dollari canadesi. Lavoriamo in particolare sui temi di agricoltura, acqua, resilient cities e legami tra cambiamenti ambientali e migrazioni umane.
Per fare due esempi, nel centro-nord del Burkina Faso finanziamo un progetto sperimentale per l’uso di piccoli bacini per l’agricoltura su piccola scala nel Sahel. I risultati di tale progetto vengono utilizzati dal governo locale per implementare un’iniziativa su scala nazionale, attraverso la quale sono stati costruiti in collaborazione con gli agricoltori circa 10mila bacini di raccolta dell’acqua piovana per l’irrigazione. In India, Bangladesh e Ghana, coordiniamo invece un grande consorzio di ricerca che studia le migrazioni umane nei grandi delta fluviali a particolare rischio climatico.
Dopo un periodo di ricerca all’Istituto per Interscambio Scientifico, il mio interesse per il rafforzamento della ricerca per lo sviluppo sostenibile è via via maturato e dal 2006 ho iniziato a lasciare l’Italia per l’Africa sub-Sahariana, prima in modo temporaneo e poi definitivamente nel 2008. Ho vissuto in Malawi, Kenya, Madagascar, Mozambico e Burundi, occupandomi di design, sviluppo e management di progetti internazionali finalizzati a rafforzare la capacità e la leadership scientifica e istituzionale di università e ricercatori del Sud del mondo.
Quali i vostri obiettivi nell’ambito di COP21?
La delegazione dell’IDRC a Parigi ha comunicato i risultati di questi ultimi dieci anni, ha sostenuto la partecipazione di ricercatori provenienti da paesi in via di sviluppo e stretto nuove alleanze per rafforzare il nostro finanziamento alla ricerca in paesi in via di sviluppo.
Rispetto alla conferenza di Copenhagen nel 2009 e a conferenze seguenti e di fatto “meno importanti” a Cancun, Durban, Doha, Varsavia e Lima, forse per la prima volta dai tempi degli accordi di Kyoto sono state poste le premesse per un accordo, non sufficiente ma vincolante, su cui costruire politiche di intervento locali, sia di mitigazione che di adattamento.
Paesi come USA, Cina e Canada per la prima volta negli ultimi 20 anni hanno stipulato promesse reciproche che dovrebbero essere in grado di mantenere. Purtroppo l’India – terzo paese più inquinante al mondo in termini assoluti, anche se molto in basso in termini di emissioni pro capite – non sembra seguire la stessa strada. Ancora, la transizione progressiva ad un’economia basata su un’energia più pulita è evidentemente in atto, semplicemente perché comincia ad essere vantaggiosa per il settore privato. Si aggiunga che si stanno modificando iniziative portate avanti da società civile, da settore privato e governi locali (incluse le grandi e medie citta, anche in paesi del Sud).
Criticità?
I governi e i gruppi di pressione economica sono consapevoli delle problematiche ambientali, ma scelgono di ingnorarle per motivi geo-strategici e finanziari. Manca di fatto una presa di coscienza per limitare gli impatti dei cambiamenti climatici, soprattutto in termini di un necessario cambio di passo del nostro modello di sviluppo economico e sociale, inclusa un’apertura radicale per ripensare i fenomeni migratori a tutte le scale, da quella locale a quella internazionale. Dubito fortemente quindi che la COP21 porti ad un accordo condiviso per limitare il riscaldamento globale sotto la soglia dei 2 gradi così come raccomandato dagli scienziati.
A Parigi c'è stato anche il building day. Una sua riflessione guardando con la lente di chi è particolarmente attento al tema del costruito?
Io lavoro nell’Africa sub-sahariana e in Asia meridionale, regioni con un altissimo tasso di urbanizzazione e di crescita demografica ed economica concentrata sempre più nelle grandi città. Molte di queste si trovano in zone costiere, lungo i bacini fluviali di importanza strategica per le loro risorse idriche e il loro ruolo come vie di comunicazione, hanno zone agricole fondamentali per la sicurezza alimentare mondiale. È necessario a mio parere un approccio sistemico che faccia sì che questi grandi centri urbani crescano come centri di innovazione, aggregazione e opportunità sociale, ma al tempo stesso usino in modo sostenibile le risorse naturali. Entro il 2050, se i trend demografici non cambieranno radicalmente, il 40% dei giovani nel mondo vivrà in Africa: è fondamentale quindi che si creino alleanze tra città nel nord e sud del mondo per trasferire e applicare modelli di pianificazione urbana che sfruttano la carica innovativa di questo immenso potenziale intellettuale, se ignorato si potrà arrivare al collasso.
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