01-09-2016 Paola Pierotti 4 minuti

Per una ricostruzione etica, gli Architetti ricordano che esiste lo strumento del concorso

Terremoto 24 agosto 2016. Dagli Ordini agli studi professionali un appello per difendere la centralità del progetto

"È necessario mettere a punto un masterplan (attraverso un concorso, ovviamente) che fissi immediatamente le regole della ricostruzione, nel rispetto dei caratteri tipo-morofologici del luogo"

Labics

All’indomani del sisma del 2012, la Federazione Architetti Emilia-Romagna aveva pubblicato un documento, approvato dal CNAPPC, dal titolo “Ricostruire l’Identità – Protocollo Etico”, nel quale gli ordini regionali si assumevamo precisi impegni nei confronti delle popolazioni colpite, e attraverso il quale si voleva fornire un aiuto, un percorso virtuoso, perché alcuni fenomeni distorsivi non si manifestassero. “Uno degli obiettivi che si poneva – spiega Pier Giorgio Giannelli, presidente dell’Ordine degli Architetti di Bologna – era quello di evitare un indebito accaparramento degli incarichi da parte di pochi professionisti, a scapito della qualità, ma soprattutto del rapido fluire del processo di ricostruzione, fatti questi ahimè puntualmente verificatisi”.
Se dopo il terremoto del 24 agosto, l’Ordine degli Architetti di Roma ha ritenuto di farsi parte attiva chiedendo ai propri iscritti proposte a tema libero da inviare al commissario Vasco Errani, c’è chi tra gli architetti spinge per rimettere al centro il progetto e investire sulle migliori competenze professionali. In Italia si contano almeno 600mila professionisti della Rete delle Professioni tecniche e tra loro, ingegneri, architetti, geologi e geometri, sono in tanti a lavorare sulla prevenzione, ad utilizzare le migliori tecnologie disponibili, a studiare soluzioni innovative e creative.

Niente fretta e ansia, investire sulla qualità nel processo di ricostruzione

Pier Giorgio Giannelli, Presidente dell’Ordine degli Architetti di Bologna In questi giorni sono state scritte tantissime cose, alcune condivisibili, altre molto meno; tra tutte mi sembra che le opinioni più apprezzabili siano quelle di Aravena e di Piano, la prima relativamente al percorso partecipativo sperimentato, la seconda per il metodo. Ripartire dai luoghi e dalle persone, non delocalizzando e rendendo protagonisti delle scelte che si andranno a fare chi questi luoghi li abita da sempre, è una scelta percorribile e saggia. Ricostruire com’era e dov’era può forse essere giusto per quei casi di edifici fortemente identitari, per il resto sarà la partecipazione collettiva a dare continuità, identificazione e nuova appropriazione di quanto si andrà a riedificare.
Nell’emergenza non bisogna farsi prendere dall’ansia di far presto ad ogni costo: la qualità dell’architettura dei luoghi, cui discende in linea diretta la qualità della vita delle persone, non potrà che avere i suoi tempi; gli architetti potranno dare quelle risposte, che sono necessarie, in termini di capacità, competenza ed efficienza, se sapranno affermare il loro ruolo civico e sociale a servizio delle Comunità colpite, contribuendo in modo determinante alla rinascita ed al consolidamento del senso di appartenenza ai luoghi delle persone.
Per il resto il programma RIUSO indica per bene che il tema della sicurezza del parco immobiliare è una priorità assoluta, ed unica “grande opera” che questo Paese deve intraprendere.

Masterplan stategico e concorsi. Ricostruzione analogica, non una copia del passato

Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori, LABICS Non esistono ricette univoche ma certamente bisognerebbe ragionare su possibili strategie. Per quanto riguarda l'emergenza immediata vediamo due soluzioni percorribili. La prima riguarda la costruzione – o addirittura l'acquisto – di moduli leggeri prefabbricati in legno: ne esistono di tanti tipi, efficienti, poco costosi, riciclabili. La seconda soluzione riguarda l'utilizzo di strutture esistenti –  come sono le case dell'Aquila – utilizzate in passato per le emergenze ed oggi non più usate.
Anzi, riteniamo sarebbe interessante se lo stato italiano costruisse in una zona non sismica degli alloggi temporanei per le emergenze. Alloggi gestiti dallo stato che di volta in volta potrebbero servire per le vittime del terremoto, per i rifugiati, per gli immigrati. Una sorta di riserva di case temporanee per le emergenze in attesa della ricostruzione.

Per quanto concerne la ricostruzione, pensiamo che sia corretto ricostruire nei luoghi danneggiati – evitando assolutamente le new town – e che sia corretto confermare la struttura urbana preesistente: strade, piazze, vicoli e slarghi, edifici pubblici e monumenti, insomma quello che ha costituito l'ossatura di questi paesi per secoli. Per fare questo è necessario mettere a punto un masterplan (attraverso un concorso, ovviamente) che fissi immediatamente le regole della riedificazione, nel rispetto dei caratteri tipo-morofologici del luogo. Immaginiamo un masterplan strategico che dovrebbe fare distinzione tra monumenti, edifici pubblici e il tessuto di base. Per i monumenti è necessario ricostruire seguendo le tecniche e le metodologie del restauro: dov'era e com'era, nel rispetto delle metodologie antisismiche. L'identità del luogo è garantita innanzitutto dal rispetto dei suoi monumenti.
Per gli edifici pubblici di scarso rilievo architettonico invece sarebbe necessario fare dei concorsi per la loro ricostruzione nell'ambito di alcuni vincoli messi a punto dal masterplan di base. Ma non pensiamo sia necessario rifarli identici a quelli crollati. Allineamenti, altezze, colori, materiali, dimensioni di questi edifici dovrebbero essere fissati dal masterplan. Sicuramente alcuni di questi concorsi potrebbero essere riservati ai giovani.
Infine, per il tessuto di base è necessaria la ricostruzione seguendo i caratteri tipo-morfologici del luogo e le tecniche costruttive tradizionali aggiornate per rendere gli edifici antisismici: una ricostruzione analogica, che riprenda i caratteri originari (sia tipologici, sia morfologici, sia tecnologici), che segua la tessitura di base, ma che non necessariamente sia identica al passato. Bocciamo in modo risoluto l’idea di costruire edifici in cemento armato con finte facciate storiche.
Operativamente, per la ricostruzione del tessuto di base, si potrebbe procedere con gare di appalto concorso, ma con una commissione molto severa per l'approvazione di progetti presieduta da chi ha redatto il masterplan. Tutto questo, ovviamente, in un mondo ideale….. sarà mai così?

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Paola Pierotti
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