24-01-2017 3 minuti

Perché non vale la pena vincere un concorso in Italia? Risponde Gabriele Del Mese

Stazione AV Firenze, Policlinico Umberto I a Roma e Palahockey di Torino: tre storie-flop

"È risaputo che la reputazione del sistema italiano di gestire i lavori pubblici, dalla progettazione al completamento della costruzione, fatica ad ottenere simpatie in campo europeo"

Semaforo rosso per Norman Foster a Firenze dove il progetto della stazione AV di Firenze sviluppato con Arup si è arenato: concorso vinto e lavori iniziati, ma è mutata la strategia di trasformazione urbana e infrastrutturale. È finito in un cassetto, anche con un vincolo della Soprintendenza imposto una volta aggiudicata la gara, il progetto del nuovo Policlinico Umberto I di Roma. Ancora, si è costruito grazie all’impegno delle Olimpiadi 2006 il nuovo Palahockey di Torino, ma è "la prima vittima illustre del sistema piratesco dell'appalto integrato". Tre casi eclatanti nel mondo della progettazione italiana, che hanno coinvolto direttamente Gabriele Del Mese, fondatore di Arup Italia, che suggerisce attraverso la rubrica Le Ingegnerie su PPANthebrief una riflessione sul sistema delle gare e dei concorsi di progettazione per la costruzione delle grandi opere pubbliche in Italia "che – come commenta Del Mese – ha raggiunto limiti di credibilità e affidabilità a dir poco preoccupanti oltre i quali ci potrà essere solo la paralisi totale".

Di regola in Italia le grandi infrastrutture e la quasi totalità delle opere pubbliche vengono commissionate dallo Stato attraverso le sue molteplici ramificazioni amministrative che saranno poi i diretti clienti sia dei progettisti che delle imprese. Apparentemente questo dovrebbe essere garanzia di qualità delle opere e correttezza sia per i controlli che per il flusso dei pagamenti. La realtà purtroppo è troppo spesso lontana da questi ideali. È risaputo che la reputazione del sistema Italiano di gestire i lavori pubblici, dalla progettazione al completamento della costruzione, fatica ad ottenere simpatie in campo europeo.

Di seguito un elenco di alcuni scenari tutti possibili e purtroppo ricorrenti, che riguardano chi ha la sfortuna di vincere un concorso pubblico in Italia:

  1. il rimborso della fase progettuale dei concorsi pubblici generalmente non copre le spese di progettazione di un team multidisciplinare;
  2. quasi sempre si è pagati poco, male e dopo troppo tempo;
  3. chi vince un concorso di opere pubbliche in Italia, specie se straniero, si ritrova ad affrontare una complessità gestionale e un percorso burocratico da incubo;
  4. se il lavoro vinto è complesso, le amministrazioni possono inventarsi e imporre un 'appalto integrato' grazie al quale, ad un certo punto del percorso, i progettisti originali vengono legalmente (!) cacciati e si regala il progetto all'impresa che con i suoi tecnici assoldati ne può fare quello che vuole;
  5. i tempi di realizzazione, ammesso che il lavoro si faccia, sono sempre troppo lunghi a causa di crisi storiche e politiche, di ricorsi delle imprese o altri ineffabili motivi. La media italiana dalla data di concorso all'inaugurazione dell’opera pubblica costruita si può facilmente aggirare sui 15-20 anni se non di più;
  6. se il lavoro arriva all’appalto e se viene completato, generalmente ci si ritrova con un progetto 'rappezzato' alla meglio e sempre cambiato rispetto all’originale, spesso realizzato con materiali scadenti perché meno costosi, che da lontano somiglia al tuo, ma di cui non sei contento;
  7. molto spesso le amministrazioni decidono di fermare o abbandonare i lavori in corso perché con tempi di realizzazione così lunghi troppe cose cambiano rendendo l’opera non più rispondente ai bisogni iniziali;  
  8. con i soliti ritardi dei pagamenti della Pubblica Amministrazione non di rado capita che l'impresa, sopratutto in questi ultimi anni, fallisce e il Paese si ritrova con una quantità enorme di ruderi incompiuti e amministratori innocenti. Sembra poi che gli amministratori pubblici, cioè 'i fedeli servitori della comunità', non debbano render conto degli sprechi che creano e amministrano.

Scenari familiari a molti studi di progettazione, ma non per questo giustificabili o accettabili, situazioni che scoraggiano sia investitori che progettisti e paralizzano il mercato nazionale. 

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