26-05-2023 Micol Vinci 2 minuti

Precari e senza diritti. Alla Biennale la denuncia degli architetti cechi

Il padiglione di Praga è un atto d’accusa sulle condizioni di lavoro nell’architettura

Un altro padiglione di lotta in una Biennale “arrabbiata”. “The office for a non-precarious future”. Focus sulle condizioni di lavoro precarie degli architetti. Questo il tema del Padiglione nazionale della Repubblica Ceca, alla 18esima Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia. Progetto che non vuole solo portare alla luce le criticità legate alla professione, ma propone strumenti e soluzioni, evidenziando esempi di ottime pratiche di approcci individuali, collettivi e sistematici. In particolare, si chiede al sistema di contribuire al cambiamento con politiche finalizzate alla promozione dell’educazione, dedicate a un salario minimo dignitoso, ma anche azioni per prevenire forme di razzismo e di non rispetto delle pari opportunità, il tutto rafforzando i diritti dei lavoratori.

Tra le possibili soluzioni, sono importanti le organizzazioni teal, che rovesciano sistemi gerarchici e piramidali, e mostrano i migliori risultati a lungo termine, sulla base di una ricerca del sociologo francese Fredric Laloux. Il lavoro è diviso in produzione, partecipazione a decisioni di gruppo e apprendimento di soft skill.

«Gli architetti non sono solo finanziariamente precari, non di rado manifestano un mancato equilibrio tra lavoro e vita privata. La maggior parte desidera poter incidere nel plasmare il nostro ambiente costruito»: la frase è di Peggy Deamer, architetto, insegnante e professore emerito di architettura alla Yale University, estrapolata dalla ricerca del 2020 “Working conditions of young architects in Czech Republic”, e citata nel padiglione stesso.

Il padiglione ceco racconta due facce della stessa medaglia: “The factory” è la rappresentazione dello status quo negativo della professione, basato su ricerche e dati in relazione alle difficili condizioni dei giovani professionisti; “The laboratory” è uno spazio sperimentale in cui gli architetti possono cooperare, conversare e immaginare un« futuro non precario. Il laboratorio allestito negli spazi delle Corderie dell’Arsenale di Venezia è un racconto con un set di informazioni sui problemi che riguardano la precarietà della professione di architetto, come ad esempio le condizioni di lavoro tossiche, l’inclusione con disparità tra generi e pressioni economiche.

«Come possiamo noi architetti cambiare il mondo se non siamo in grado di fornire condizioni di lavoro dignitose per noi stessi?». Questa la domanda che muove la ricerca orking conditions of young architects in Czech Republic”, i cui intervistati sono architetti di età compresa tra 22 e 35 anni che hanno completato la loro formazione e lavorano nella Repubblica Ceca.


Lo studio ha raccolto oltre 1.200 risposte, da cui emerge che il 47% degli intervistati lavora durante il fine settimana, il 41% più di 160 ore al mese ed il 15% più di 180.


Il 48% lavora per un cliente principale come finto freelance e solo il 22% lavora per il proprio datore con un contratto subordinato. Quanto alle posizioni dei freelance, il 93% trascorre la maggior parte del tempo nell’ufficio dell’azienda, il 48% dei professionisti usa software di lavoro pirata, solo il 35% ha le ferie retribuite, un misero 25% ha voce in capitolo sulla mansione che svolge, solo il 24% si considera adeguatamente remunerato.

Il padiglione ceco alla 18esima Mostra internazionale di architettura è organizzato e supervisionato dalla National Gallery Prague, sostenuto dal ministero della Cultura della Repubblica Ceca e dall’Unione Europea (Next Generation Eu).

In copertina: padiglione Repubblica Ceca. Ph. ©Andrea Avezzù

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Micol Vinci
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