01-06-2018 Chiara Brivio 3 minuti

Richard Sennett: Costruire città aperte, anche lasciando qualcosa di non programmato

Il sociologo americano in tour in Italia. Tappa anche a Torino nel grattacielo di Renzo Piano

"Costruire significa affermare dei valori che a volte la comunità non desidera avere. Implica talvolta imporre la giustizia sulla comunità, anche se la tensione tra il costruire e l’abitare sarà sempre presente nel mondo reale"

Richard Sennett

Come si costruisce una città aperta? Esiste un’etica per la città? Come potranno difendersi le città dagli effetti del cambiamento climatico? Queste alcune delle domande che Richard Sennett, tra i massimi sociologi viventi, ha voluto affrontare nella sua conferenza dal titolo La città aperta. Presente e futuro della vita urbana, tenutasi recentemente nell’Auditorium del grattacielo Intesa Sanpaolo a Torino. Sennett, fondatore del New York Institute for the Humanities, già direttore della Commissione sugli Studi Urbani dell’Unesco, è oggi professore di Urban Studies alla London School of Economics e alla Harvard University.

In contrasto con le città rigide, chiuse e controllate del Nord del mondo e che oggi stanno sorgendo anche nel Sud del pianeta, Sennett auspica la costruzione di città complesse, più aperte, dai confini porosi, dove i cittadini semplicemente si mescolino tra di loro – "stando con gli altri, facendo qualcosa di non programmato" dice Sennett – e dove si riscopra l’antica differenza tra il costruire e l’abitare. Spazi urbani dove "la gente sappia gestire la complessità del vivere nella città".

Come il Nehru Place Market di Nuova Delhi, in India, un grande mercato informale a cielo aperto dove si vendono elettronica, sari indiani, cibo halal per i musulmani. Gli edifici intorno allo spazio pedonale ospitavano fino agli anni ’80 uffici governativi, oggi sono invece la sede di start up e aziende di software indiane. In quanto spazio aperto, "il Nehru Place Market è uno dei posti meno violenti della città, perché qui indù e musulmani lavorano fianco a fianco – spiega Sennett –. È uno luogo socialmente ed economicamente misto dove non ci sono regole forti, in cui le persone sono fisicamente a loro agio con le differenze". 

Esempio di chiusura sono invece i casermoni del Workers’ Housing di Pechino, costruiti ai tempi della politica del figlio unico con appartamenti piccoli e angosti, che oggi, dopo la revoca del divieto, diventeranno obsoleti. "Sono sistemi immobili che non permettono che la storia si sviluppi al loro interno, sono immutabili", sottolinea Sennett. Oppure l’autostrada di Shanghai, "bella, ma il cui spazio sottostante è inutilizzabile".

Che cosa significa quindi oggi per un urbanista costruire seguendo un’etica per la città? "Costruire significa affermare dei valori che a volte la comunità non desidera avere (come per esempio l’integrazione razziale). Implica talvolta imporre la giustizia sulla comunità, anche se la tensione tra il costruire e l’abitare sarà sempre presente nel mondo reale". Oggigiorno, "si ricerca la totale congruenza tra le strutture, la loro funzione e il loro aspetto, come è successo nei paesi in via di sviluppo, da Ho Chi Minh City a Città del Messico, seguendo semplicemente il principio additivo. Questo tipo di chiusura è simile ai sistemi ad alta tecnologia, che laddove diventano fissi e monopolistici non permettono più uno sviluppo informale. Nel mondo del costruire sta succedendo la stessa cosa: le imprese che costruiscono diventano più grandi ma meno numerose. Il capitale diventa monopolistico e porta a una chiusura". Si rende quindi necessario costruire città e strutture aperte, incomplete, dai confini porosi, integrando per esempio i sistemi di movimentazione a quelli di abitazione.

E il cambiamento climatico? Per contrastarne gli effetti devastanti, spiega Sennett, gli architetti dovranno progettare soluzioni creative che lavorino con l’incertezza, come il progetto Mit Cau+Zus+Urbanisten nelle Meadowlands del New Jersey, un sistema di protezione della città di New York che si ispira al principio degli argini di sabbia olandesi, presentato nel 2013 all’indomani della devastazione portata dall’Uragano Sandy. Secondo Sennett, questo è un sistema aperto dove "la città può riprendersi dai danni senza escludere l’acqua. È un’idea aperta che risponde a qualsiasi variazione climatica". Una soluzione aperta applicabile anche al caso di Venezia, del Bangladesh o persino della Gran Bretagna, che nei prossimi anni saranno in prima linea nella lotta al cambiamento climatico.

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Chiara Brivio
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