La Biennale, call for action per il clima

09-05-2025 Francesca Fradelloni 2 minuti

09-05-2025 Francesca Fradelloni 2 minuti

La Biennale, call for action per il clima

Alla 19. Mostra di Architettura di Venezia al via il 10 maggio, intelligenza collettiva e data science. Buttafuoco: costruire il futuro e rifuggire le guerre

Attraverso il costruire arriviamo all’abitare. Costruire con intelligenza il mondo per un racconto del tempo futuro perché noi siamo, noi abitiamo. Nella 19. Mostra internazionale di Architettura di Venezia che aprirà i battenti sabato 10 maggio (ultimo giorno il 23 novembre 2025), l’architettura è nell’abitare e non nella guerra che distrugge. Il pensiero di Martin Heidegger irrompe nelle parole di Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia, nella terza conferenza stampa dell’esposizione internazionale. La Biennale di Carlo Ratti, dal titolo Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva, si prefigura come un grande laboratorio sul tema dell’adattamento climatico, dove l’architettura ha la capacità di ascoltare il mormorio del mondo, il segno e gli algoritmi che avvolgono l’abitare. Una tracotanza di numeri: 750 partecipanti e 280 progetti, 66 partecipazioni nazionali (contro le 64 del 2023), 26 Paesi ai Giardini, 25 all’Arsenale e 15 nel centro storico con quattro new entry (l’Azerbaigian, l’Oman, il Qatar e il Togo), 11 eventi collaterali. E un grande protagonista celebrato, dal presidente Buttafuoco, come un’antica fonte di divinazione, l’oracolo Ratti. «Punto di riferimento nella discussione pubblica, nel confronto intellettuale e scientifico, con una grande capacità di coinvolgere la pluralità delle genti e delle storie. Con una capacità di andare dritto all’essenza di un itinerario viatico», afferma.


Una Biennale che è un cammino di intelligenza dove l’architettura concede e produce spazio, ma soprattutto rifugge la guerra nei giorni in cui a un numero spropositato di persone è distrutta la casa


Non c’è, dunque, solo il cambiamento climatico, ma anche l’indicibile: la guerra. Come cantava in “Il re del mondo”, Franco Battiato. Una guerra che oggi ha un primato terribile «distruggere le case del nemico per non ri-costruirle mai più, per non dare più la possibilità al nemico di poter dire “io sono, perché io abito”», dice Buttafuoco. Una Mostra che si focalizza – dice Ratti – sull’adattamento climatico e non sulla mitigazione. Il curatore propone un approccio radicale alla crisi ambientale, portando a fattor comune le fragilità di Venezia, laboratorio a cielo aperto. «In passato l’architettura si è occupata moltissimo di strategie per il clima, ma puntando a un’architettura che riducesse le emissioni, oggi non basta. Questa Biennale è nata come una reazione a catena, pensando a Venezia come a un workshop collettivo, una città fragilissima che può salvare il mondo. Tanti hanno partecipato, abbiamo cercato di incontrare le genti del luogo, gli architetti, i sindaci, i professori per trasformare questo appuntamento in qualcosa di diverso. Una call for action: ascoltare per costruire nuove idee e nuovi pensieri. Tutti insieme, tutti allo stesso livello: gente comune, designer e scienziati», spiega il curatore. Con uno speaker corner al centro dell’Arsenale e in cima al padiglione centrale (chiuso per ristrutturazione) una raccolta di tutti i dati del processo, perché alla fine questa Biennale è diventata un “superorganismo” con una natura frattale che lascerà il suo segno, specchio e motore del cambiamento all’insegna della tecnica.

In copertina: © Francesco Galli

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Francesca Fradelloni
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