05-04-2024 Alessio Garofoli 3 minuti

Quando gli impianti sportivi giovano alle città

All'evento Cni-Coni una panoramica sui successi recenti, come quello della Ryder Cup. E un'accusa: si investe troppo poco

Un appello a spendere di più per lo sport viste le sue ricadute positive, sulla società e sulle opere pubbliche, e una discussione su come rendere le strutture sportive più longeve e sostenibili dal punto di vista finanziario. È stato questo il filo conduttore della Giornata nazionale dell’impiantistica sportiva, organizzata il 4 aprile a Roma dal Consiglio nazionale degli ingegneri e dal Coni nella sede di quest’ultimo. Una panoramica su quel che i progettisti italiani sono in grado di fare nel settore, dall’epoca della copertura dell’Olimpico di Roma per i Mondiali di calcio di Italia ’90 ai progetti recenti dello Juventus Stadium e della Vitifrigo arena di Pesaro. «Dai tempi di Italia ’90 e di Torino 2006 non si realizzano più impianti sportivi in Italia», esordisce il presidente del Cni Angelo Domenico Perrini. Non nascondendo i problemi esistenti: «Spesso i nuovi impianti restano in carico alle amministrazioni locali, con le conseguenti difficoltà di gestione. Al tempo stesso sono tanti i progetti che non arrivano alla cantierizzazione, soprattutto a causa delle pastoie burocratiche, strutture di cui le società sportive avrebbero un enorme bisogno».

La carenza di nuovi campi sportivi risalta in negativo in un momento di grande protagonismo dello sport italiano, osserva il presidente del Coni Giovanni Malagò: «Non c’è mai stato un periodo in cui l’Italia è stata così forte. Da tre anni siamo i primi in Europa per distacco. Ma non abbiamo vissuto mai un momento così drammatico sul piano dell’impiantistica. La situazione è davvero pietosa», insiste, tornando a sottolineare che a suo avviso anche il Pnrr è stato un buco nell’acqua in tal senso. «Ho avuto uno scontro duro col precedente governo. Se destini lo 0,34% appena del Pnrr allo sport accade che i fondi restano fermi perché le risorse sono troppo scarse per realizzare i singoli progetti. Sovente dalla politica arrivano giudizi tecnici da parte di persone che non sono competenti. È incredibile che dal 1956, se non c’è un grande evento, in Italia non si realizzi una sola opera pubblica dedicata allo sport. Aggiungiamo che sei scuole su dieci non hanno una palestra».


Così Malagò continua nella sua requisitoria chiedendo un «piano Marshall» per il settore.


Vista la necessità di ulteriori risorse, è fondamentale che queste ultime producano qualcosa che resterà, evitando gli errori del passato e trovando una sostenibilità che sia anche finanziaria.

Si avvicinano le Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026, e Francesco Romussi dell’omonima fondazione (che si occupa solo dell’organizzazione) dichiara che il “costo” in infrastrutture legate a eventi di questo tipo non è tutto da addebitare agli impianti sportivi: per Milano Cortina si tratta di 3,6 miliardi, afferma, ma gran parte della cifra andrà a finanziare opere civili. Anche perché per lo più le gare saranno ospitate da strutture già esistenti. Di questi 3,6 miliardi, 400 milioni arriveranno da privati, che gestiranno il quartiere in cui nascerà il Palaitalia per l’hockey di Santa Giulia a Milano. Cosa quest’ultima che dimostra, per Romussi, che è possibile costruire impianti duraturi e «che il modo di fare soldi c’è». Dagli auspici per il futuro ai risultati mostrati nel recente passato Gian Paolo Montali, direttore Generale della Ryder Cup 2023, illustra la legacy della manifestazione di golf tenutasi a Guidonia (Roma). Per la quale i vari governi succedutisi negli anni del progetto, che puntava a sviluppare il turismo golfistico nella Capitale, hanno assicurato 140 milioni di euro: 100 a fondo perduto, 40 di garanzie che però, dice Montali, non è stato necessario utilizzare. E ciò che rimane della Ryder Cup, aggiunge, sono infrastrutture civili: il raddoppio di sei chilometri di via Marco Simone a Guidonia, tre nuove rotonde e tre riqualificate nell’area, oltre alla conclusione dei lavori che sembravano infiniti sulla via Tiburtina. Ma a proposito di sostenibilità finanziaria, uno sguardo sul versante privato. Lo Stadium della Juventus, prima società di calcio in Italia a costruire uno stadio di proprietà che, inaugurato nel 2011 e con 41mila posti disponibili, può ancora essere preso a modello di innovazione progettuale. La sua sostenibilità finanziaria sta nei numeri sciorinati da Francesco Gianello, Head of Facilities Management dei bianconeri: in questa stagione 18.500 abbonati e il 97 per cento della saturazione delle tribune raggiunta, come nell’epoca pre Covid. E ancora: 1 milione di presenze nella struttura nel corso della stagione e 57 milioni di ricavi per la “vecchia Signora”.

In copertina: Juventus Stadium, vista notturna ©Gau Arena

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Alessio Garofoli
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