28-02-2022 Paola Pierotti 8 minuti

Ingegneria olistica e creativa, bilanci e prospettive di Gabriele Del Mese

Dalla salvaguardia del pianeta al post-pandemia, le sfide di una professione “sociale”

È una buona cosa che sia stata istituita una giornata mondiale dedicata all’ingegneria (il 4 marzo), perché non c’è nulla in natura che non possa essere vista, spiegata e ricondotta ad una forma di ingegneria. Avere una giornata in cui i riflettori si accendono su questa scienza contribuirà a mettere in luce il contributo che le varie forme di ingegneria possono dare per migliorare la nostra vita e salvaguardare il pianeta». Gabriele Del Mese, uno dei più innovativi ingegneri italiani sulla scena internazionale, entrato in Arup nel 1973, unico ingegnere italiano fino agli anni 2000, racconta in un’intervista a thebrief come è cambiato il mercato, quali sono le sfide, e come la progettazione olistica possa avere ricadute “sociali” per il bene comune.

Ingegneri e società di ingegneria in Italia, come è evoluto il mercato negli anni, cosa si è guadagnato e cosa si è perso?
L’ingegneria è coinvolta nell’evoluzione e nel progresso di molte attività della vita umana, con specializzazioni che spaziano dalla medicina alla robotica, fino alle costruzioni che sono la forma di ingegneria maggiormente percepita dalla comunità. Nel corso degli ultimi 20 anni sia l’ingegneria in generale che quella delle costruzioni sono cambiate parecchio: basta considerare i numerosi corsi specialistici offerti dalle università Italiane, al punto tale che è difficile farne una catalogazione.

Gli ultimi 20 anni hanno messo in evidenza, sia in ingegneria che in architettura, la scomparsa quasi totale del ‘professionista artigiano’, quel modello romantico caro al movimento europeo di ‘arts and crafts’ che per tanti anni ha influenzato profondamente l’architettura e l’ingegneria a lei associata. Oggi, con l’avvento di internet, il mondo è diventato più piccolo di prima, spingendo anche i professionisti italiani a guardare sempre di più oltre i confini nazionali e a ricercare stimolanti alleanze con operatori più grandi e più specialistici di quanto non si facesse nel passato. Questo ha avuto un’influenza non lieve circa l’emergenza e la crescita delle ‘società di ingegneria’ a sfavore del contributo dell’artista individuale, perdendo forse il sapore della creazione unica e artigianale, a favore di uno stile internazionale che produce industrialmente opere che anche se belle potrebbero trovarsi in qualunque posto del globo senza nulla aggiungere o togliere a quanto c’era di già.

Siamo ancora nel mezzo di queste tendenze, per cui è difficile dire se questo modo di operare costituisca una perdita di qualità filosofica della progettazione, oppure un preludio che porterà a conquiste migliori nel panorama nazionale e internazionale.

Nella comunicazione delle grandi opere spicca il nome dell'architetto, meno percepito è il valore aggiunto dell'ingegneria, perché?

Questo è un fenomeno che attende ancora di essere meglio psico-analizzato. Come già detto, il mondo è diventato molto più piccolo grazie ad internet: credo che l’avvento dell’archistar nel mondo delle costruzioni sia un fenomeno pieno di contraddizioni, poiché l’architetto vuole ancora essere visto come l’artista o artigiano – ancora quello del romantico movimento ‘arts and crafts’ – che inventa e fa tutto da solo, ma si rende conto e sa benissimo che senza il supporto molteplice di molti collaboratori architettonici e di specialisti, nei numerosi campi di ingegneria coinvolti nella progettazione, non potrebbe consegnare la sua ‘opera d’arte’ che in realtà non è tutta una sua creazione, ma il risultato dei contributi creativi di un ampio team a sua disposizione.

Tristemente, non ho ancora visto un ‘archistar’ che pubblicamente abbia l’umiltà e il coraggio di elogiare e riconoscere il contributo creativo del team a sua disposizione. Questo fenomeno di narcisismo è tutt’altro che positivo ed è molto comune in tutto il mondo, ma per fortuna è limitato principalmente agli architetti.

Un bilancio della tua carriera da super-ingegnere all'estero e in Italia. Quali evoluzioni e novità hai potuto apprezzare sul campo? 

Direi che il bilancio della mia carriera sia stato, tutto sommato, abbastanza positivo e soddisfacente, anche perché ho avuto la fortuna di fare con passione un lavoro che amavo. Ammesso che possa esistere la figura del ‘super-ingegnere’ è ovvio che avrebbe gli stessi lati negativi che ho attribuito all’archistar, perché la sua visione creativa, capace di affiancarsi a quella dell’archistar, avrebbe bisogno di un nutrito numero di specialisti nelle varie sfaccettature delle ingegnerie relative alle costruzioni, dalla geotecnica alla scelta e performance dei materiali, dalla dinamica alla sismica, dalla sostenibilità delle sue scelte alla costruibilità delle sue forme. La differenza principale tra le due figure è che l’ingegnere creativo, pur essendo determinante nella scelta e formulazione della soluzione migliore da adottare, non ne fa uno show mediatico.

Come per gli architetti, anche le ingegnerie hanno beneficiato molto dall’avvento di internet. I lati positivi dell’informatica sono molteplici, specie per i grandi progetti. Ci sono, ovviamente, anche lati negativi che mi auguro spariranno negli anni a venire. Tra questi, a mio parere, il più pericoloso per gli ingegneri è la possibile perdita della qualità quasi ‘tattile’ delle strutture, cioè di quel bagaglio di intuizione fisica sul comportamento naturale delle strutture, proprietà questa che non si acquista con l’attivazione di un tasto del computer.

La novità più interessante nel panorama Italiano, sulla quale credo di aver contribuito molto, è stata la mia ossessione ed il perseguimento di una progettazione multi-disciplinare, integrata, che 20 anni fa, al mio rientro in Italia era pressoché sconosciuta. Mi fa molto piacere costatare che questa filosofia progettuale stia diventando sempre di più un accettato ‘modus operandi’ che porterà certamente buoni frutti.

Tra le super-specializzazioni e l’integrazione delle competenze, se dovessi dare un consiglio ai giovani talenti, meglio investire in una società che tiene in casa tutte le competenze o specializzarsi? 

Avendo lavorato per tanti anni in un clima internazionale, ed avendo affrontato lavori molto diversi tra di loro, sono convinto che il sistema migliore per soddisfare le esigenze della comunità per la quale lavoriamo, sia quello della progettazione olistica, multi-disciplinare e integrata: solo così si può parlare di vera e indivisa ‘architettura totale’.


La progettazione olistica è uno stato di attitudine mentale.


Ciò vuol dire che per farla non è necessario che tutte le competenze e specializzazioni siano in casa, purché esse entrino in gioco fin dall’inizio del processo creativo. Se così non fosse, se cioè le varie ingegnerie vengono attivate dopo che le forme architettoniche sono già state in gran parte decise e considerate inamovibili, raramente potranno dare valore aggiunto all’opera complessiva. Anzi, la ‘performance’ nel tempo dell’opera architettonica concepita senza il contributo simultaneo delle ingegnerie, in modo cioè non olistico, risulterà molto diminuita, prona a difetti e foriera di continue malformazioni nel tempo. In altre parole la vera progettazione in cui il risultato globale è più grande della somma delle parti è quella olistica.

Quali sfide per gli ingegneri di oggi nel mercato italiano? 

Ogni società ed ogni epoca ha le sue sfide. Tutte le sfide comportano inevitabilmente un’iniziale dissacrazione, una critica e una revisione di quanto era stato ritenuto buono e adottato come modello nel passato. È naturale, quindi, che i cambiamenti debbano proporre degli obiettivi che a loro volta comportano sfide.

Le grandi sfide di oggi sono quelle energetiche e quelle relative all’ambiente e salvaguardia del pianeta. Queste sono diventate sfide globali e riguardano tutti noi. Il contributo degli ingegneri e architetti sarà significativo se indirizzato a pensare, ricercare, sperimentare, produrre e usare sistemi costruttivi con tecnologie e materiali a basse emissioni. Ai problemi energetici poi, si sono aggiunti quelli del vivere sociale messi in luce negli ultimi anni dalla pandemia. Tutti questi scogli richiedono che architetti ed ingegneri rivedano criticamente e con urgenza i modelli urbanistici, abitativi, di lavoro e di vita sociale che sono stati favoriti da qualche anno in ogni parte del globo, molti dei quali hanno già mostrato falle preoccupanti proprio a causa dei cambiamenti climatici e della pandemia.

La nostra è una professione ‘sociale’ perché intimamente connessa col modo di vivere delle comunità, per cui molti saranno gli argomenti che si dovranno esaminare e rivedere, poiché è arrivato il tempo di porsi anche molte domande scomode che richiederanno risposte coraggiose e oneste. Un caso per tutti riguarda il proliferare di edifici super-alti incoraggiati e programmati in molte città del nostro Paese. C’è da chiedersi quanto queste tipologie siano veramente ecologiche e fino a che punto empatiche con la sofferenza attuale del nostro pianeta.


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In copertina: Milano, ph. ©Gregory Smirnov via Unsplash

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Paola Pierotti
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